Come si può sradicare la malapianta delle ‘ndrine

Come si può sradicare la malapianta delle ‘ndrine

Articolo di Enrico pubblicato su «Il quotidiano della Calabria» di venerdì 19 febbraio 2010.

L’immagine è quella delle banconote stropicciate e stese ad asciugare al sole dopo un lavaggio come si deve. Sembrano soldi puliti, sono soldi ripuliti. Vale e dire riciclati. È una delle fotografie che meglio descrivono il fenomeno ‘ndrangheta nel nuovo numero di «Treseizero», il magazine dell’Associazione TrecentoSessanta che questo mese abbiamo deciso di dedicare alla «malapianta».
Se ne discute, si propongono analisi, si ascoltano testimonianze. Il tema è oggi più centrale che in passato nel dibattito pubblico nazionale. Il che naturalmente è un passo avanti rispetto all’approssimazione e al sostanziale disinteresse con cui lo si affrontava anche fino a pochi mesi fa.

Il rischio, tuttavia, è che come spesso accade nel nostro Paese, una volta esaurita l’onda emozionale suscitata da fatti di cronaca di stretta attualità, l’attenzione generale progressivamente scemi. E con essa quella capacità di analisi e di approfondimento indispensabili per trattare una questione sfaccettata e complessa come questa. La complessità è anzitutto legata alla proiezione esterna della ?ndrangheta. Scarsa o ancora troppo limitata è, infatti, la consapevolezza delle dimensione globale di una rete che estende i suoi nodi sui cinque continenti, che esporta razzi controcarro in Asia Centrale, che tratta partite di cocaina in Sud America, che le smercia in Australia e che poi magari inaugura attività in apparenza lecite, ma in realtà affidate a prestanome locali, nei sobborghi di Francoforte o di Rotterdam. Laura Garavini, capogruppo PD in Commissione Antimafia e ispiratrice dell’iniziativa Mafia? Nein Danke creata in Germania dopo le strage di Duisburg, ci ha raccontato quanto  proprio quelle morti abbiano fatto capire, all’Italia e al mondo, che la ?ndrangheta non è un fenomeno solo calabrese.
È una holding internazionale del crimine che da oltre dieci anni cavalca la globalizzazione e approfitta della lacune legislative presenti in alcuni Paesi. Presenti anche nel nostro di Paese. E la responsabilità, politica ed etica al tempo stesso, è di tutta la classe dirigente, nessuno escluso. È di chi tende a sminuire la portata del problema, propinando una lettura solo meridionalista del tema mafie. È di chi a un’organica riforma del sistema giustizia antepone quotidianamente lo scontro sui problemi giudiziari del presidente del Consiglio, impegnando il Parlamento per mesi su provvedimenti ad personam che nulla hanno a che vedere con l’interesse generale del Paese. È di chi, sui territori e a Roma, non colloca l’etica pubblica, il rigore assoluto nei comportamenti, l’intransigenza nei confronti del rapporto perverso tra economia e criminalità organizzata al centro dell’agenda politica. Così, quando poco più di un mese fa, i riflettori dei media si sono accesi su Rosarno e su una delle più inquietanti rivolte razziste della nostra storia, siamo rimasti tutti sorpresi e spaventati. Dalla violenza e dalla dimensione di quanto accaduto, certo. Ma soprattutto dall’impossibilità di comprendere fino in fondo cosa succede, chi c’è dietro, come uscirne. L’inspiegabile che lascia disarmati. A ben vedere, invece, le armi le abbiamo, eccome. Sono armi potentissime perché non sono in vendita. Siamo tutti noi. Sono le tantissime persone perbene che rifiutano di vedere la propria terra in balia del potere e della prepotenza della ?ndrangheta. Come il giovane sostituto procuratore di Palmi, Stefano Musolino, che su «TreSeiZero» ha accettato di spiegare perché valga la pena spendersi ancora, nonostante tutto. Come le centinaia di funzionari e dirigenti delle Forze dell’Ordine che ogni giorno sono in prima linea contro un sistema fatto di strette di mano melliflue e consenso sociale ?deviato?. Come i tanti amministratori onesti che si barcamenano per spiegare che l’equazione tra sviluppo e legalità è l’unica che possa produrre futuro.
A tutti loro la politica ha il dovere assoluto non solo di stare vicino, ma di considerare la lotta alla ?ndrangheta un interesse nazionale, fornendo risposte efficaci e tempestive elaborate in modo più possibile condiviso. Al di là degli schieramenti, della contingenza delle campagne elettorali, degli interessi personali.