Con questa scelta nasce veramente il PD

Con questa scelta nasce veramente il PD

Intervista rilasciata da Enrico Letta a Carlo Fusi pubblicata su Il Messaggero giovedì 17 novembre 2011

Il primo pensiero di Enrico Letta è per Giorgio Napolitano. «Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’opera accorta e intelligente del capo dello Stato. Ora davvero si può comprendere quanto sia stato efficace e faticoso il lavoro del Quirinale degli anni scorsi. Un ruolo di equilibrio vero svolto impeccabilmente, senza mai farsi tirare per la giacca da chi lo invitata ad andare oltre i suoi poteri per fermare Berlusconi. Oggi si capisce quanto sia stato efficace nell’interpretazione rigorosa dei poteri che gli assegna la Costituzione. Ha reso la presidenza della Repubblica un bene comune».
E adesso che il governo Monti è nato, qual è la cosa più bella che c’è in questo esecutivo? E quale invece manca?
«Il segnale più bello, tutt’altro che simbolico, è quello delle donne. Aver affidato tre ministeri che sono altrettanti pilastri del governo – Interno, Giustizia e Welfare – a tre donne è una scelta di grande modernità e che dimostra come Monti è molto più politico di come lo si dipinge. Il suo governo è sì di grande caratura tecnica ma è un governo in cui la politica è presente eccome per l’aspetto che ho detto e per le tre parole chiave che lo contraddistinguono: crescita, coesione ed integrazione. Proprio quest’ultimo concetto associato ad un ministro come Andrea Riccardi è significativo. Quelle tre parole danno l’idea di un progetto di Paese giusto e condivisibile».
Mancano ministri politici e il premier sostiene che è un’assenza che evita imbarazzi. Cos’è, una aggiornata edizione della favola della volpe e dell’uva?
«Questo punto di arrivo è il frutto di un’azione complessa e faticosa. Dopo diciassette anni di politica sulle barricate, lo scongelamento deve maturare con un minimo di gradualità. E deve avvenire nella sua sede propria che è il Parlamento. Non è un caso se nella squadra di governo manca il ministro perle Riforme istituzionali. Le riforme sono del Parlamento e molte non hanno visto la luce solo per la sovrastruttura di scontro totale che rendeva impossibile il dialogo».
La politica che è rimasta fuori della squadra di governo dovrebbe prendersi la rivincita nelle aule parlamentari?
«Macché rivincita. Il motore politico del nuovo governo risiede ed è stato evidenziato dall’impegno che Casini, Alfano e Bersani hanno messo nel dar spinta fin dall’inizio all’operazione Monti. Adesso tutto questo deve trasformarsi in Parlamento in uno sforzo convergente. La base c’è già: dimezzamento dei parlamentari, Senato delle autonomie, modifica dei regolamenti di Camera e Senato, legge elettorale».
Lo scenario di larghe intese fino a solo due mesi fa sembrava impraticabile. Come possono ora i partiti garantire che il nuovo clima si consolidi e non si disperda?
«Devono proseguire sulla strada dell’affidarsi e dell’aver fiducia gli uni negli altri che deve diventare la cifra politica del prossimo futuro. Lo si è visto nelle trattative per far nascere il governo. Riconosco che una parte difficile toccava ad Alfano che ha passato bene la prova. Casini, Fini e Rutelli hanno lavorato per questa soluzione, ma poi un successo vero lo ha colto il PD».
Davvero? Eppure il PD, almeno in una prima fase, si è diviso. E anche adesso non mancano quelli che dicono che erano meglio le urne che avrebbero garantito una la vittoria dei centrosinistra e la premiership a Bersani.
«Il PD ha dimostrato di saper anteporre l’interesse nazionale alle sue legittime convenienze. Potevamo lucrare un vantaggio, è vero, ma saremmo andati ad elezioni con Berlusconi ancora a palazzo Chigi, ottenendo una probabile vittoria però con numeri risicati e con una spaccatura a tre del sistema. Così invece ci sono le condizioni per svelenire il clima, per far scendere la febbre e rimettere il sistema nella condizione per cui chi vince possa anche governare. La verità è che questo passaggio rappresenta il vero atto fondativo dei PD, che ha saputo vestire i panni di partito del Paese. E per Bersani una cosa del genere rappresenta un accreditamento forte quale soggetto chiave del futuro».
Ma insomma davvero era solo Berlusconi il problema e tolto lui di mezzo tutto diventa rose e fiori? Difficile da credere.
«Però onestamente è così. Il problema nasceva non tanto dalla sua persona ma dal fatto che abbiamo vissuto un bipolarismo costruito sull’anti e non sul per. Volente o nolente, Berlusconi era diventato il totem di un meccanismo che arruolava da una parte tutti quelli che erano contro di lui e dall’altra tutti quelli che lo sostenevano. Adesso – senza venir meno alla bussola bipolare e lo dico convintamente – dobbiamo ricostruire il sistema su basi completamente nuove».
Con il Terzo Polo che è di fatto la cerniera delle larghe intese. Casini afferma che adesso è finita la diaspora della Dc. Condivide?
«Casini ha conquistato una centralità frutto di lavoro e determinazione. È una centralità elle in questa fase è servita e molto. È evidente che assieme a Fini e Rutelli dovranno fare una valutazione su come gestire questa centralità ripeto oggettivamente conquistata. Entriamo in terra incognita e nulla sarà come prima. Il governo di Monti non può essere una parentesi chiusa la quale torna la politica rissosa e sbracata. Piuttosto è il primo passo per entrare in un sistema in cui nei prossimi governi la competenza la farà da padrona, in cui la competizione tra schieramenti si farà sulle soluzioni per risolvere i mali dell’Italia».
Invece c’è chi sta con un piede dentro e uno fuori. Tipo Di Pietro.
«Penso abbia compreso che non partecipare sarebbe stato uno sbaglio. È ovvio che l’ldv, venuto meno l’antiberlusconismo militante, più di ogni altro deve ripensare il proprio ruolo e la propria identità».

E la Lega? Unico partito di opposizione, spara a palle incatenate contro il ministero per la Coesione territoriale.

«Capisco che hanno un problema. Che un premier come Monti metta in pista un Ministero del genere, che chiaramente ha l’obiettivo di lavorare per il Sud, rappresenta un vero e proprio rovesciamento delle logiche del governo di centrodestra. Una vera rivoluzione che cancella d’un colpo i ministeri a Monza e quant’altro».