Enrico Letta: “Senza far nulla tra 16 mesi non c’è più l’Europa”

Enrico Letta: “Senza far nulla tra 16 mesi non c’è più l’Europa”

breaking europeIntervista di Alessandro De Angelis per Huffington Post Italia del 24 giugno 2016

Presidente Enrico Letta, e ora?
E ora la priorità è evitare il panico. Questo problema è nelle mani dei governi nazionali, della Bce e del governo britannico. E riguarda, anzitutto, il modo col quale si gestisce il divorzio.

Non ci sono precedenti.
Esatto. È la prima volta che capita e l’articolo 50 del Trattato di Lisbona non specifica le modalità. La gestione del divorzio è complicatissima, dal punto di vista politico e commerciale. Le faccio solo un esempio: a Londra ha sede l’autorità bancaria europea. È evidente che andrà spostata ed è altrettanto chiaro che la città prescelta diventerà una sorta di nuova capitale finanziaria, sia essa Milano, Dublino o Francoforte. Quello che suggerirei è di non trascinare per due anni la trattativa sull’uscita. L’obiettivo deve essere, lo ripeto, scongiurare il panico strutturale ed evitare danni per l’economia, creando un nuovo buco nero.

Immagino che si riferisca alle ricadute politiche, nel senso del la Brexit rischia di rappresentare un precedente. Insomma, si è rotto il simulacro del “bisogna stare dentro” rimasto intatto anche con la Grecia?
Certo. Qui in Francia già cominciano a dire: “riprendetevi la vostra frontiera”. La Le Pen chiede un referendum. Alla base del voto in Gran Bretagna c’è la convinzione che con l’indipendenza, con la scelta nazionale, si riacquisti sovranità, si torni a una gestione nazionale, che garantisce più controllo e sicurezza di fronte alla paura. Il che, ai tempi delle sfide globali, è un calcolo sbagliato, ma il ragionamento è quello che ho descritto. C’è una parola che sintetizza, più di altre, quel che sta accadendo.

Quale?
È “proteggere”. L’Europa deve tenerne conto. Ed entrare in una fase in cui ha gli strumenti e la volontà politica di tutelare i propri cittadini. Altrimenti, come accaduto in Gran Bretagna, essi penseranno che a proteggerli ci sia solo la bandiera nazionale. Bandiera che ti scalda, ti tranquillizza, ti avvolge anche con un senso di nostalgia, ti dà l’illusione di una ripresa del controllo. Proprio questa è stata l’espressione di Donald Trump, commentando il voto: “La Gran Bretagna si è ripresa il controllo”. Le ripeto: non è così, è una percezione fittizia, illusoria. Ma se i cittadini non vedono che l’Europa li protegge, mentre invece sembra tutelare solo i vincitori della globalizzazione, allora istintivamente, con un ruflesso figlio anche della paura, dicono “riprendiamoci il controllo”.

E questo spiegherebbe il perché è stata una campagna tutta “politica”, basata sul tema immigrazione e perché le periferie hanno votato per il leave e la city per il remain.
Sì, è stato un voto essenzialmente “politico”. E colpiscono due fatti: il referendum è stato dominato dal tema immigrazione, una contraddizione perché la Gran Bretagna è fuori da Schengen e ha sovranità sulla questioni migratorie. E questo la dice lunga sul desiderio di “riprendersi il controllo”. Il secondo tema è la nostalgia della grandezza del passato, quando la Gran Bretagna era il centro del mondo. E infatti i giovani votano per il Remain e gli over 60 per la Brexit.

Torniamo alle ricadute politiche. Prevede un effetto emulativo negli altri paesi.
Spero solo che la vicenda sia stata la lezione finale, imparata la quale si possa cambiare registro. C’è bisogno che i leader europei reagiscano subito e si evitino due grandi rischi. Primo, la Babele linguistica, in cui ciascuno continua a dire la sua. Secondo, una tempistica lunga. Fino a pochi giorni fa in Europa si scommetteva che per un anno non sarebbe successo nulla di eclatante, in attesa delle elezioni francesi e tedesche. È evidente che questo ottimismo va letteralmente sotterrato. E che non si possano passare 16 mesi di tranquilla attesa. Tra 16 mesi – senza fare nulla – non ritroviamo più niente.

Non ritroviamo più niente nemmeno se si va avanti con l’Europa germanocentrica. Quel che sta accadendo è anche frutto di ciò che è “politicamente” e di come viene percepita questa Unione, burocratica e retorica.
Non c’è dubbio che non bisogna difendere lo status quo. Occorre un rilancio rapido, all’unisono, che modifichi il rapporto di fondo delle politiche europee degli ultimi anni. Mettendo i cittadini al centro.

Che significa concretamente?
Proprio per evitare che l’Europa diventi sempre più germanocentrica e berlinese, c’è bisogno di una forte iniziativa degli altri paesi. E lo dico osservando la debolezza francese in questo periodo. Ribadisco: all’unisono, tempestivamente, con politiche che siano caratterizzate dall’inversione dell’ordine. Senza consenso su questo l’Europa crolla. E quando parlo di inversione mi riferisco a tre priorità: la disoccupazione dei giovani, la gestione dell’immigrazione fuori controllo e la questione della sicurezza legata all’emergenza terrorismo. Su questi temi o l’Europa mette in campo tre proposte molto concrete che siano visibili dai cittadini o crolla.

Ad esempio? Partiamo dalla disoccupazione.
Un’iniziativa per un milione di giovani che si potrebbe chiamare Erasmus pro. Ovvero fare un investimento finanziario per dare la possibilità, appena finiti gli studi, di fare un anno di apprendistato in un’impresa di altri paesi, dove imparare il lavoro e la lingua. E uscire da quella terra di nessuno del periodo tra la fine della formazione e l’inizio del lavoro che troppo spesso alimenta paure e incertezze.

Capitolo immigrazione.
Controllare la frontiera esterna dell’Unione in modo diverso rispetto a come si è fatto finora e costruire una polizia di frontiera comune. Solo con un corpo di frontiera unico si può ripristinare anche la fiducia tra i paesi europei; altrimenti; ognuno pensa che gli altri non gestiscono adeguatamente il problema e lasciano passare i migranti.

Capitolo sicurezza.
Una Fbi europea. Che consenta di evitare i disastri accaduti tra Francia e Belgio ai tempi degli attentati di Parigi e Bruxelles. In caso contrario, i nostri cittadini continueranno a pensare di essere indifesi.

Presidente Letta, abbiamo fatto un ragionamento tutto politico, perché non c’è dubbio che è il cuore della questione. Parliamo delle conseguenze economiche della Brexit. Le borse sono già in crollo. Prevede la ripresa dello spread e mercati ballerini nei prossimi mesi.
La speculazione odierna delle Borse è molto forte. Ma c’era da aspettarselo dopo l’incredibile vicenda di ieri, in cui si era consolidata la certezza, non si sa su quali presupposti, che avrebbe vinto il Remain. Tutte le questioni che lei solleva dipendono dalla rapidità delle risposte, dalla gestione ordinata del divorzio, nell’immediato e nel medio-lungo periodo. In questa prospettiva, la Gran Bretagna, secondo me, ha solo da perdere, perché Londra non sarà più la capitale finanziaria del mercato unico europeo e non sarà la porta d’accesso al più ricco mercato del mondo. Ripeto: sarebbe un errore prendersi due anni di tempo. Mi auguro davvero che l’incertezza duri il meno possibile.

Quali sono i rischi per l’Italia, di fronte a mesi di fibrillazione?
Sui versanti nazionali, direi che Italia e Spagna sono nel mirino, in un contesto del genere. Domenica vota la Spagna e spero emergano una maggioranza chiara e un governo; altrimenti sarebbe al centro della tempesta, perché Madrid è senza governo da sei mesi. Il problema italiano è il debito pubblico e quindi la risposta deve essere con la schiena dritta e di chi sa che c’è un problema. Vuol dire che non è il momento di fare spese pazze e i bilanci vanno tenuti sotto controllo. Noi dobbiamo allacciare le cinture di sicurezza e avere fiducia in Draghi. Per fortuna che abbiamo super-Mario.

Oltre ad allacciare le cinture che cosa dovrebbe fare il governo?
Dovrebbe essere protagonista di un rilancio europeo. Vedo che ci sono incontri, vertici. Spero che nel cassetto dei leader europei fosse pronto e sia stato discusso un “piano b”. Non si possono davvero sprecare settimane inutilmente.