Il mio piano lavoro per l’Unione Europea

Il mio piano lavoro per l’Unione Europea

Enrico Letta, Presidente del Consiglio italiano

Francesco Bei per la Repubblica, domenica 19 maggio 2013
«Il lavoro è il cuore del mio impegno, lo dimostrano le parole e, soprattutto, i fatti». Ai giovani senza futuro, agli esodati, ai cassintegrati, ma soprattutto alla piazza arrabbiata della Fiom che l’ha preso a bersaglio, Enrico Letta vorrebbe mandare un messaggio: è il lavoro il senso della sfida che l’ha spinto ad accettare la chiamata a Palazzo Chigi.
Letta ritiene di averlo chiarito già nel discorso programmatico alla Camere, «basato sulla centralità del lavoro» e con «l’impegno che sto portando in Europa sull’occupazione per i giovani in vista del Consiglio europeo di giugno».
Per questo bruciano le accuse di non aver fatto nulla. Anche il primo provvedimento del Consiglio dei ministri, preso venerdì, secondo il premier dimostra la concentrazione del suo governo per alleviare questa sofferenza del paese. «Il primo decreto – ricorda – costa 1.040 milioni, di cui 1000 sono contro la disoccupazione e 40 sul resto. E non c’è soltanto il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, ma anche l’aiuto immediato ai precari della Pubblica amministrazione e lo sblocco dei contratti di solidarietà». Fatti concreti.
E tuttavia c’è un’altra questione che, almeno sul piano dell’immagine, per Letta ha appannato il risultato raggiunto faticosamente venerdì. In questo caso il governo non c’entra nulla. Ma un Cavaliere in piena campagna elettorale ha rivendicato solo a se stesso il merito della sospensione dell’Imu, come se non fosse stato fatto altro, mettendo di nuovo nell’angolo il Pd. Il premier a questa rappresentazione non ci sta. «Bisogna finirla con questa logica assurda per cui Berlusconi vince sempre e il Pd perde sempre». In questo caso, poi, i fatti direbbero «l’opposto». Se appunto l’Imu è stato solo rinviata e il grosso delle risorse è stato postato sul lavoro, significa che in concreto Berlusconi non ha portato a casa nulla. «Gran parte della manovra è dedicata ai temi cari al centrosinistra, compresi i precari della pubblica amministrazione e i contratti di solidarietà». Sostenere il contrario per Letta «è semplicemente incredibile». Una critica rivolta certamente a Berlusconi ma anche alle tante voci infiammate della piazza Fiom.

 

Se il governo ha provveduto venerdì a tamponare le falle più vistose – Cig, Imu, precari – per il premier è comunque in Europa, al consiglio europeo di giugno, che andrà giocata «la vera battaglia ». Con un alleato forte come Hollande. Con il presidente francese Letta ha discusso della possibilità di anticipare il più possibile l’utilizzo di quei 6 miliardi già previsti dal programma “youth guarantee”. E se non si potrà spenderli nel 2013, il proposito è che vadano a finanziare un piano per l’accesso ai giovani nel mondo del lavoro a partire dal primo gennaio 2014. Ma 6 miliardi di euro spalmati su 27 paesi sono una goccia nel mare. C’è bisogno di fare di più, molto di più. Dal Consiglio Ue l’Italia vorrebbe uscire con una decisione politica forte sulla cosiddetta “golden rule”, in modo da scorporare i fondi per l’occupazione dal calcolo del deficit strutturale. In sostanza la parte nazionale del finanziamento europeo non conterebbe ai fini dell’obbligo di pareggio di bilancio. Una volta fuori dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, per l’Italia sarebbe inoltre possibile varare anche misure “one-off” (una tantum) per dare una scossa all’occupazione.
«La lotta alla disoccupazione giovanile – spiega Letta – diventerà il vero punto delle nostre politiche». Tra fondi nazionali e fondi sociali europei, al ministero dell’Economia calcolano che la forza d’urto da riversare sull’occupazione potrebbe arrivare a 12, forse 15 miliardi di euro. Allora sì che farebbero la differenza. Sul piano interno il «pacchetto occupazione» è già allo studio del ministro Enrico Giovannini. Punta su una revisione di tutte le politiche attive sul lavoro oltre che sugli sgravi fiscali per i neo assunti. L’intento è quello di partire da un rafforzamento delle agenzie per l’impiego, rivoluzionando un modello stantio che vede oggi passare appena il 5% delle assunzioni dalle vecchie agenzie di collocamento.
Il modello, come sempre, è il Nord Europa scandinavo.
Il metodo, invece, è quello del «dialogo sociale» nel triangolo governo- imprenditori-sindacati.
Un esempio lo si è avuto giovedì scorso, quando il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha telefonato a Letta durante la cena con i leader di Cgil, Cisl e Uil per informarlo dei passi avanti fatti sul problema della rappresentanza sindacale. Questo è quello che il premier rivendica di aver fatto finora, ad appena un mese dal giuramento al Quirinale. «In questa fase – ammette – non possiamo fare di più. Allargare i cordoni della borsa, come si faceva in passato, non è possibile. Da qui a settembre è il massimo che possiamo fare. Poi, dopo le elezioni tedesche, speriamo che l’Europa cambi passo».
Niente rinvio dell’aumento dell’Iva, purtroppo, e niente sospensione per l’Imu sui capannoni. «Capisco le difficoltà dei commercianti e di chi ha attività produttive. Ma l’Imu sui capannoni vale 7 miliardi di euro e non li abbiamo».
La situazione resta difficilissima e non va persa per Letta la consapevolezza della drammaticità del momento. «Il circo mediatico, i partiti e anche diversi ministri – è lo sfogo finale – non hanno ancora capito qual è la nostra situazione. Ecco perché dobbiamo procedere con molta cautela».