Il pericolo di un’Italia anti-europea

Il pericolo di un’Italia anti-europea

Enrico-Letta_2821055bQuesta è una sintesi della lectio magistralis tenuta per l’inaugurazione dell’anno accademico della scuola Superiore Sant’Anna di Pisa pubblicata sul Fatto Quotidiano del 20 dicembre 2015.

Per la prima volta l’Europa si accorge di essere considerata responsabile e quindi anche colpevole dai propri cittadini. Fino a prima della crisi l’Ue era vista come altra cosa rispetto alla catena di responsabilità che porta ogni cittadino a prendersela con il suo governo nazionale o col suo sindaco se le cose non vanno bene. Prima le colpe che venivano caricate sull’Ue erano soprattutto peccati di omissione, come nella crisi della ex Jugoslavia o per le vicende mediterranee.
Con l’euro abbiamo in tasca una moneta che lega le condizioni dell’economia concreta al livello europeo. Le responsabilità europee diventano “attive”, non più solo “passive”. L’Europa è il più facile dei capri espiatori. Non ha una faccia e non parla direttamente nelle lingue con le quali i leader nazionali comunicano con le proprie opinioni pubbliche. La crisi ci impone, perché l’Europa non sia sopraffatta da colpe e responsabilità spesso non sue ma dei suoi Stati membri, che all’Ue si dia una faccia, una voce. Se questo meccanismo di accountability non si sviluppa l’Europa sarà suicidata dai suoi stessi Stati membri.
Queste preoccupazioni valgono per l’Italia moltiplicate al quadrato. L’Italia ha bisogno del successo dell’Europa più di altri e da un’Europa dimezzata o disgregata perderà più di altri. I rischi di un’Italia antieuropea sono poi doppi perché l’Ue stessa per integrarsi con successo e raddrizzarsi rispetto ai propri squilibri ha bisogno di un ruolo di avanguardia europeista che solo l’Italia può credibilmente giocare. Con i danni sociali che la crisi ha portato l’Europa rischia di diventare un simbolo positivo per i vincenti e negativo per i perdenti.
Non si può lasciare che trovi terreno fertile il messaggio di Marine Le Pen di un’Europa simbolo della globalizzazione contro cui si ergono i suoi patrioti. L’Europa deve essere anche protezione e opportunità per i suoi cittadini. Questo vale per il sociale, con proposte come l’Assicurazione europea contro la disoccupazione o l’Erasmus dell’apprendistato. Ma deve valere anche per la sicurezza interna. Gli attentati del 13 novembre a Parigi dimostrano che senza un Fbi a livello Ue non si combatteranno efficacemente terroristi tecnologicamente sempre più sofisticati . Nei Trattati è scritto che vogliamo tutti una “ever closer Union”. In verità da tempo alcuni Paesi non vogliono una sempre maggiore integrazione. E l’unico modo per evitare il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue nel prossimo referendum è proprio costruire un’Europa a due cerchi. Nel cerchio largo dei 28 (e forse più) starebbero coloro che condividono delle politiche (mercato unico, commercio) ma non vogliono ulteriore integrazione. Nel cerchio stretto, quello dei Paesi dell’euro starebbero quelli, come noi, che vogliono più integrazione politica, sociale ed economica.
Infine la crisi ci dice che deve cambiare il racconto dell’Europa. L’Europa ha avuto due fasi di racconto su se stessa. L a prima è stata quella del “mai più la guerra tra noi” simboleggiata dalla foto di Kohl e Mitterrand mano nella mano nel Cimitero di Verdun. La seconda fase, quella centrata sugli anni ‘9 O, è stata “l’Europa delle opportunità”. Opportunità per i Paesi mediterranei o dell’ex blocco sovietico che uscivano da dittature e opportunità per i cittadini, le imprese e i lavoratori come l’Erasmus o i fondi strutturali. Entrambi questi racconti hanno terminato il loro effetto. E la crisi economica ha creato perplessità o rigetto in tanti cittadini. C’è bisogno di un nuovo racconto che guardi al futuro. La crescita dei giganti asiatici cambia i pesi e le misure. I Paesi europei non saranno più, quantitativamente, il centro del mondo. Possiamo esserlo qualitativamente solo se saremo più uniti. Altrimenti nessuno di noi, da solo, conterà nulla tra dieci anni di fronte alla Cina o all’India. E dobbiamo farlo per i valori europei, unici e irripetibili. Il rispetto dell’Ambiente, i diritti umani, il valore del lavoro, la centralità della persona non sono concetti astratti se pensiamo a come sono declinati in altri continenti. Vogliamo che i nostri figli vivano in un mondo in cui le regole ambientali non siano scritte da cinesi e americani, ma siano scritte sulla base dei nostri valori europei. È anche per questo che salvare e migliorare l’integrazione europea è un nostro dovere.