La politica s’impara a Scuola, ma i partiti non la studiano

La politica s’impara a Scuola, ma i partiti non la studiano

SCUOLA DI POLITICHE DI ENRICO LETTAStefano Feltri per Il Fatto Quotidiano del 14 gennaio 2017

A un primo sguardo sembra completamente inutile: una scuola di politica fuori dai partiti che non garantisce alcun lavoro in politica, neppure una candidatura a consigliere di circoscrizione o un contrattino da portaborse. Per capire dove si può trovare una nuova classe dirigente dopo il fallimento di quella del renzismo (gli amici toscani di Matteo Renzi) e le difficoltà del Movimento 5 Stelle a Roma (poca esperienza, nomine sbagliate, competenze improvvisate) bisogna comunque capire come (e se) funziona la Scuola di Politiche fondata da Enrico Letta. L’ex presidente del Consiglio oggi vive a Parigi, si dedica a un centro di produzione dell’élite di domani con una lunga tradizione, la scuola di Affari Internazionali di Sciences Po, e interviene poco sulla politica italiana. Ma a Roma ha promosso un esperimento, la Scuola di Politiche.

“Ci siamo incontrati una volta al mese, abbiamo ascoltato e discusso con Giorgio Napolitano, l’ex presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, con l’ex commissario Pascal Lamy, poi siamo stati a visitare le istituzioni europee a Bruxelles e dopo la Summer School a Cesenatico abbiamo passato il testimone alla classe dell’anno successivo”, racconta Chiara Mancini, 24 anni, che studia Economia a Roma 3, laurea specialistica, ed è una dei 100 studenti che hanno partecipato al primo anno di studi della Scuola. Se c’è una classe dirigente potenziale in questo Paese, Chiara ne sembra l’esponente ideale: ha fatto parte dei Giovani democratici, ha pure avuto la tessera del Pd, per un po’, poi ha fatto uno stage con la Cgil per studiare le nuove forme di sindacalizzazione e oggi collabora con Adapt, un centro studi sul mercato del lavoro sempre più autorevole. “Non so se voglio fare politica, di sicuro vorrei fare qualcosa per il bene del Paese”. Chiara, come centinaia di altri ragazzi, ha mandato la sua candidatura alla Scuola di Politiche: ha risposto a domande su quali sono, secondo lei, le priorità dell’Italia, e si è presentata con un video di un minuto (un po’ come i Cinque Stelle per scegliere i candidati).

Il processo di selezione viene preso molto sul serio alla Scuola di Politiche, anche perché gli studenti frequentano gratis ma il costo della formazione è stimato dagli organizzatori in 1.000 euro a persona, soldi che arrivano da donazioni. Tutte le candidature vengono sottoposte a un comitato dei garanti, con Enrico Letta, Pascal Lamy ed Emma Bonino, per la nuova edizione è stato coinvolto addirittura un cacciatore di teste professionista. “L’obiettivo è quello di accrescere le competenze di alcuni giovani ad alto potenziale, tutte le risorse della scuola sono incentrate su questo obiettivo: migliorare la loro capacità di interfacciarsi con la vita pubblica”, spiega Alessandro Aresu, giovane filosofo, scrittore, collaboratore di Limes, che oggi lavora al ministero dell’Economia.

Fino al 2013 Enrico Letta organizzava VeDrò: tre-quattro giorni a fine estate nelle zone del lago di Garda. Qualcuno pensava si trattasse di una iniziativa di corrente, interna al Pd, ma anche quel progetto serviva a formare classe dirigente: si incontravano giovani professionisti, politici, giornalisti, intorno a un tavolo discutevano i principali dossier di policy, a cena e alle feste giravano biglietti da visita e si costruivano network trasversali, in un approccio post ideologico alla politica. VeDrò era un investimento dal ritorno immediato, la Scuola di Politiche darà risultati solo nel lungo periodo visto che tutti i partecipanti hanno tra i 18 e i 25 anni e curricula spesso esili.

“Purtroppo c’è un distanza notevolissima tra i giovani che a 20 anni fanno già politica e altri che, alla stessa età, non hanno alcuna intenzione di farla ma hanno già accumulato competenze importanti”, dice Marco Meloni, deputato del 1971, uno degli ultimi lettiani rimasti, che della Scuola di Politiche è direttore. Quelli bravi fanno altro, chi non sa fare nulla spera nella politica. E il risultato, osserva Meloni, è che “la classe dirigente parlamentare non ha spesso un livello di competenze adeguato e finisce per relazionarsi in modo subalterno con altri poteri: intellettuali, finanza, gruppi di interesse”.

Il paradosso, però, è che la Scuola di Politiche non forma politici che, già da giovani, “sono troppo irregimentati in dinamiche di corrente che riducono lo spirito critico”, come dice Meloni, e sono troppo occupati per andare a imparare.

Alessandro Aresu, che ha seguito tutto il processo di selezione, racconta che “la maggior parte dei ragazzi che fanno domanda vengono da Giurisprudenza o Scienze politiche, ma noi selezioniamo anche medici, ingegneri, economisti, anche un’ostetrica”. Se chi si interessa alla cosa pubblica ha un mestiere diverso da quello del politico di professione sarà più libero nel suo giudizio, più propenso a considerare il bene comune.

Il problema di queste iniziative è sempre la prospettiva. Già dieci anni fa, a Milano, Massimo Cacciari aveva ispirato un’esperienza simile nell’orbita della Margherita, il Centro di formazione politica: lezioni di alto livello, seminari, viaggi studio e summer school. Ma una volta finito il corso finiva tutto. Alla Scuola di Politiche cercano di costruire una rete, una comunità: ci sono lavori iniziati durante le lezioni – come delle simulazioni di policy sull’imposta di successione – che continuano, c’è il progetto di fare un blog degli “alumni”, organizzare qualche evento. Starà poi ai partiti valutare quanto attingere a questa “intelligenza collettiva”, come dice Meloni. Perché è vero che servono i voti per fare politica. Ma a volte i partiti hanno ampio margine di scelta del proprio personale politico (come è stato negli anni della legge elettorale Porcellum), a volte privilegiano la competenza, più spesso la fedeltà.

La combinazione esplosiva è quando la scelta cade su persone che non hanno né la competenza né i voti: “Le vicende di questi mesi indicano come classi dirigenti che non sono passate attraverso esperienze di formazione o di ricerca del consenso sono condannate a esperienze di governo effimere, con effetti nefasti, perché riducono la credibilità di politica e istituzioni”, è la diagnosi di Meloni e la ragione per cui esiste la Scuola di Politiche. I più vecchi tra i “diplomati” della scuola hanno 25 anni. Soltanto tra un decennio si potrà verificare se questo investimento a lungo termine ha pagato.