Letta: “Il governo giochi da protagonista L’Italia rischia una deriva anti-europea”

Letta: “Il governo giochi da protagonista L’Italia rischia una deriva anti-europea”

  Intervista di Fabio Martini per La Stampa del 7 luglio 2015

I protagonisti della storica partita a scacchi in corso in queste ore Enrico Letta li conosce tutti da vicino, conosce le delicate dinamiche dei vertici europei e questo know-how lo induce a riflessioni fuori dal coro. Per l’ex presidente del Consiglio, il governo italiano deve rompere gli indugi, deve diventare «protagonista» di questa fase, cercando ad ogni costo un accordo con Tsipras, perché il nostro «sarebbe il Paese più colpito» da una eventuale Grexit, evento destinato a produrre anche «un rapido contagio politico», perché «se l’Europa implode, è assolutamente possibile che alle elezioni di autunno la Spagna passi in mano agli anti-europeisti e poco dopo lo stesso destino possa colpire l’Italia», con la vittoria dei campioni dell’antisistema, Grillo e Salvini.
Ormai da tempo elaborato il “lutto” per la perdita di Palazzo Chigi, in posizione spesso critica nei confronti del governo Renzi, da giorni Enrico Letta è ospite del Politecnico di Sydney e in queste ore – racconta – «sono assediato da tutti i media, perché la vicenda greca è la prima notizia anche in Australia, terra di immigrati europei» e «in questa situazione, essendo costretto all’essenziale, sfrondi e finisci per capire meglio il senso di questa vicenda».

E quale è il senso di fondo di ciò che sta accadendo in queste ore?
«In queste ore capisci meglio le due opzioni che noi europei abbiamo davanti. Siamo già dentro il secolo asiatico, ma a questo punto, se non saremo uniti e non ci daremo una forza politica, passeremo dal ruolo di “rules-setter” a quello di “rulestaker”, da quelli che le regole le hanno scritte per secoli a quelli che le regole le apprenderanno da chi le scriverà da ora in poi. Le regole dei commerci e dell’ambiente, i diritti umani e quelli del lavoro le scriveranno cinesi, indiani e americani».

Perché siamo arrivati al 7 luglio 2015?
«Perché l’Europa è nel cul-desac da tempo e siamo arrivati ad un punto nel quale ci sono soltanto due opzioni: o più Europa o meno Europa. L’attuale statu quo non regge più. I sostenitori di “più Europa” non riescono a fare un passo avanti e la loro idea è talmente incompiuta che rischia di distruggere l’idea stessa di Europa»

In questi giorni va molto la retorica ultra-europeista, la predicazione millenaristica dell’ora o mai più: lei propone l’Europa a due velocità?
«Davanti ad una crisi come questa, è il momento del “when in trouble go big”, quando le cose vanno male, devi alzare il tiro. Una massima che ha portato l’Europa alla prima integrazione europea dopo la fine del secondo conflitto mondiale, all’allargamento e alla moneta unica dopo la caduta del Muro. Ora davanti a questo terzo terremoto, dobbiamo andare verso l’Europa federale, gli Stati Uniti d’Europa»

Traguardi troppo ariosi e lontani ?
«No. Oramai si è capito che un’Europa a metà servizio fallisce e dunque servono le due velocità. Sul binario meno veloce, l’Unione attuale a 28 Paesi, senza ulteriori processi di integrazione, per favorire una piena e convinta permanenza al suo interno della Gran Bretagna. Sull’altro, l’Europa della “zona euro” che deve accelerare il percorso di integrazione».

Negli ultimi mesi sulla Grecia Renzi ha preferito restare alla finestra: condivide il sostanziale “agnosticismo” italiano?
«Come in tutti i momenti di crisi bisogna lasciar da parte le polemiche e io non ne farò. L’Italia deve favorire un accordo perché ha un canale aperto con la Grecia; perché non è la Spagna che non può permettersi la vittoria a mani basse di Tsipras. E all’Italia conviene una soluzione perché è più esposto della Germania in rapporto al Pil; perché ha più bisogno di ripresa, per calmare una situazione sociale ferita; perché, a crisi perdurante, le famose macrocondizioni potrebbero subire una pericolosa inversione».

Renzi lascia trapelare fastidio per il consolato francotedesco…
«Il vero senso del vertice di Parigi? Paradossalmente non lasciare da sola la Germania, che in queste ore si sente nel “mirino” di mezza Europa. Certo, il metodo comunitario va salvaguardato, ma bisogna evitare che la Germania si auto-isoli».

La trattativa con Atene è tutta in salita: come se ne esce?
«C’è una finestra di opportunità in queste ore: il referendum ha oggettivamente rafforzato Tsipras, che al tempo stesso – allontanando Varufakis – ha dimostrato duttilità. E d’altra parte i leader europei non hanno detto “game over”. Entrambe le parti hanno fatto il loro gioco, ora l’esito sta soprattutto nelle mani di Tsipras. Nelle prossime 48 ore ci sono le premesse per un happy end, per un accordo su una ipotesi mediana, per un onesto compromesso».

Alla fin fine ottimista?
«Sì, ma soltanto se tutti decidono che questa è la settimana decisiva: con mesi di ulteriori avvitamenti, non se ne esce più».

Putin?
«L’alternativa russo-turco non esiste».