Non siamo il partito delle tasse

Non siamo il partito delle tasse

Intervista rilasciata da Enrico Letta a Gionnaria Monti, pubblicata sul settimanale Left

La patrimoniale non è un tabù. Ma prima bisogna mettere sul mercato immobili e società pubbliche, locali e nazionali. Liberando risorse per la vera priorità: i giovani. Parla il vicesegretario del Pd Enrico Letta. «La patrimoniale non è mai stata un tabù per il Pd. Ma non deve essere nemmeno una battaglia ideologica. La questione fiscale deve essere maneggiata con cura». Enrico Letta non si sottrae alle domande sul tema più spinoso per il centrosinistra: la tassazione dei grandi patrimoni. Spinoso perché l’aumento delle tasse oggi è la misura più intollerabile per tutti, lavoratori e imprese. Ma un riequilibrio nel sistema del prelievo va fatto senz’altro.

Onorevole Letta, la stessa presidente del partito Rosy Bindi ha detto che sarebbe necessaria. 

La patrimoniale in astratto non esiste, esistono varie forme di partecipazione attraverso la tassazione sui patrimoni all’abbattimento del debito e del deficit. Guardi che forme di patrimoniale sono già presenti nel decreto Salva Italia: le tasse sugli investimenti finanziari, i bolli sulle transazioni, la stessa tassazione sulla casa con il criterio di progressività. È la dimostrazione che non è un tabù e se necessario farebbe parte della tavolozza di ipotesi di cui un governo deve tenere di conto. Penso, però, che la valorizzazione e la dismissione del patrimonio pubblico, in particolare delle partecipazioni dello Stato nelle società locali e nelle società nazionali, dovrebbe essere logicamente precedente rispetto a ulteriori ipotesi di tassazione patrimoniale. Quella deve essere la prima scelta. Dopodiché si ragionerà anche di imposizione fiscale, di rimodulazione e anche di eventuali forme di patrimoniali. Ma io, a differenza di altri, non la pongo come una bandiera astratta, perché la bandiera sa solo di inasprimento fiscale e noi non dobbiamo far credere che l’obiettivo è aumentare le tasse.

Ma la patrimoniale potrebbe rivelarsi uno strumento per il riequlibrio dei pesi fiscali? 
Dipende da quali sono le esigenze e le emergenze che ci troveremo davanti. Il tema del fisco deve essere maneggiato da parte nostra con grande delicatezza: non è come dieci anni fa, la pressione fiscale è arrivata a livelli immensi e non posiamo inasprirla. La rimodulazione passa anche attraverso dismissioni che consentano di abbattere il debito pubblico e gli interessi che paghiamo. Ciò libererebbe risorse per consentire un abbattimento della pressione fiscale, che naturalmente deve partire dalla parte più debole della popolazione, che è quella più tartassata. La forza dell’operazione euro degli anni 90 fu esattamente questa: Ciampi e Prodi riuscirono a far crollare il peso della spesa per tassi di interesse sul debito. Liberarono tra i 10 e i 20 miliardi di euro l’anno che servirono a non aumentare le tasse, a restituire l’eurotassa, a tenere i conti in ordine e addirittura a far scendere il debito.

Oggi cosa sarebbe necessario? 
Occorre un colpo secco e si può fare solo con una operazione sul patrimonio pubblico. L’Italia è un Paese ricco e il nostro sistema di partecipazioni è straricco. Pensiamo alle società locali: c’è un tesoretto da utilizzare.

Il leader del principale sindacato spagnolo in un’intervista che pubblichiamo  in questo numero dice: sono a favore dell’euro ma non a questa Europa. 
Ma questo è il tema chiave di tutto. Tutti gli strumenti nazionali sono minori rispetto al tema più importante. Bisogna fare subito quello che pensavamo di fare tra vent’anni: l’Europa politica, con un presidente, un governo, una banca che stampi moneta e dia garanzie sui debiti e un bilancio europeo. La globalizzazione ha accelerato tutto: da soli ognuno di noi fa la fine dell’Argentina degli anni ’90. Guardi in Francia la vicenda della Peugeot: in un Paese con lo spread a 100, cioè sotto controllo, si trova a subire un colpo durissimo, con 10mila posti di lavoro persi.  L’internazionalizzazione ti obbliga a vendere in Cina e in Brasile per tenere gli operai in Francia.

Temi alti per un Paese dove non si riesce nemmeno a trovare un accordo sulla riforma elettorale per andare a votare… 
L’accordo è necessario per il bene del Paese e del Pd. Perché vinceremo le elezioni e governeremo. Per farlo c’è bisogno come il pane di una legislatura e di un Parlamento legittimati. Con il porcellum i cittadini non riconoscono la somma dei 630 più 300 parlamentari come loro rappresentanti, ma come nominati dalle segreterie dei partiti. Se non si cambia sistema, la politica sarà di nuovo “schifata” e messa in un angolo. È fondamentale è che questo accordo si faccia a condizioni decenti: un premio di maggioranza robusto che assicuri la governabilità e i parlamentari scelti davvero dai cittadini. I segnali arrivati questa settimana dal Pdl sono pessimi. Ma se non cambia, il centrodestra soffrirà più di noi l’antipolitica. Lo si è visto a Parma, dove gli elettori del Pdl già al primo turno hanno votato per il candidato grillino. C’è una pulsione rancorosa e antisistema che ha sempre fatto parte del loro elettorato che ora li sta mollando e sta andando da un’altra parte. Noi vogliamo il cambiamento, saremo ad agosto qui a cercare di cambiare la legge elettorale. Sono loro ad assumersi la responsabilità di non cambiarla.

Crescita e disoccupazione. Alle elezioni agli elettori cosa direte? 
La parola chiave è giovani: riusciremo a rimettere il Paese in carreggiata se affronteremo il tema mettendo in campo due o tre misure importanti, per dimezzare in una legislatura la disoccupazione giovanile: quel 36 per cento è il tasso della vergogna. Cosa fare? Primo: incentivi fiscali. Poi, la modifica dell’Irap, con un vantaggi per l’assunzione dei giovani e un premio alla loro stabilizzazione. Poi bisogna dare un premio a chi assume per almeno tre anni e creare le condizioni per conciliare studio e lavoro: chi va all’università dovrebbe avere un incentivo per svolgere piccoli impieghi che gli permettano di sperimentare il lavoro. Perché un conto è leggerlo sui libri, un alto viverlo. È questo il motivo per cui il motore è imballato: i giovani hanno lo sguardo sul futuro, quelli meno giovani rivolto al passato. Mio padre è un matematico e mi dice sempre che gli scienziati creano tra i venti e i trent’anni. È il momento della vita in cui la mente è vergine, libera, flessibile, aperta. Dopo applicano le idee create in quegli anni. Se vivi di tre mesi in tre mesi  e il tuo problema è la sopravvivenza, cosa vuoi creare…