La UE e la nostra sicurezza collettiva: più forti insieme!

La UE e la nostra sicurezza collettiva: più forti insieme!

flag(Questo post è stato scritto da Jacques Delors, António Vitorino, Pascal Lamy, Enrico Letta e Yves Bertoncini)

I cittadini europei si trovano di fronte a una sfida in materia di sicurezza che presenta molteplici aspetti e oggi più che mai devono affrontarla insieme, qualsiasi sia il verdetto del referendum britannico. È loro 171dovere posizionare la loro “sicurezza collettiva” al centro della costruzione europea, conferendo valore ai recenti progressi e inserendoli in una prospettiva generale che abbia una funzione di mobilitazione.

(Ri)posizionare la sicurezza collettiva al centro della costruzione europea
I paesi limitrofi dell’UE sono carichi di minacce che hanno delle ripercussioni sui nostri confini e sul nostro territorio: guerra in Siria, caos in Libia, terrorismo islamico, aggressività russa, ecc. Tali minacce provocano una domanda di sicurezza da parte dei cittadini che può far emergere la tentazione di chiudersi su se stessi se i leader nazionali ed europei sembrano perdere il controllo della situazione e non mostrano in maniera sufficiente che “l’unione fa la forza”, anche in materia di sicurezza.

Il processo di costruzione europea si è potuto avviare perché i cittadini europei temevano per la loro sicurezza, minacciata dalla loro propensione secolare a combattersi a vicenda e dall’espansionismo sovietico: è nuovamente sulla scia dell'”inno alla paura” che la costruzione europea deve essere rilanciata oggi, in un contesto segnato dai timori legati al cambiamento climatico, dalla follia finanziaria, da flussi migratori anarchici, ma anche e soprattutto dalle minacce alla sicurezza di persone e beni.

L’aspirazione dei popoli alla sicurezza deve essere al centro di un programma che riunisca l’insieme dei paesi dell’UE, esposti a diverso titolo a delle minacce che traggono origine ad est o a sud dei nostri confini, ma anche sul nostro suolo, dove sono nati la maggior parte dei terroristi. Va da sé che un tale programma di sicurezza è destinato a mobilitare il Regno Unito, attore diplomatico e militare di rilievo che, benché non aderisca allo spazio Schengen, partecipa alla cooperazione giudiziaria e di polizia europea tenuto conto della sua interdipendenza con il continente.

L’agenda europea delle prossime settimane offre numerose opportunità di iscrivere la sicurezza collettiva al centro del rilancio della costruzione europea: presentazione di una nuova “Strategia europea di sicurezza” da parte di Federica Mogherini, revisione della strategia della NATO in occasione del vertice di Varsavia, progetto di un “Libro bianco” europeo sulla difesa promosso dal consigliere di Jean-Claude Juncker, Michel Barnier, ecc. Un rilancio che sembra promettere bene, dal momento che può già fare leva sull’uso recente di nuovi strumenti comuni di sicurezza in grado di dimostrare concretamente il valore aggiunto dell’UE agli occhi dei suoi cittadini.

Valorizzare l’uso degli strumenti europei di sicurezza collettiva
L’attivazione della clausola di reciproca assistenza prevista all’articolo 42.7 del Trattato sull’Unione europea (TUE) dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 traduce la volontà collettiva dei cittadini europei di far fronte insieme alle aggressioni armate sul territorio di uno Stato membro: tale clausola ha in particolare condotto a delle azioni militari congiunte contro lo Stato islamico, oltre al rafforzamento della cooperazione di polizia tra i paesi maggiormente esposti.

L’attivazione delle clausole di salvaguardia dell’accordo di Schengen ha permesso il ritorno temporaneo dei controlli alle frontiere nazionali in alcuni paesi dell’UE; l’utilizzo del “mandato di arresto europeo” ha condotto al rapidissimo trasferimento di terroristi da un paese all’altro; l’inasprimento della legislazione europea sul commercio delle armi renderà più complicata la commissione di eventuali atti; l’adozione, seguita dall’attuazione, del sistema di registrazione dei dati dei passeggeri dei voli aerei (“passenger name record”) dota gli europei di un ulteriore prezioso strumento di lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

La creazione di centri per la registrazione dei rifugiati e dei migranti (« hotspots ») in Grecia e in Italia non è stata solo l’espressione di una solidarietà finanziaria e tecnica europea più che mai gradita, ma porta anche a ridurre la diffidenza nei confronti dell’efficacia dei controlli effettuati ai confini esterni allo spazio Schengen, anche nello sforzo di identificare i terroristi.

Infine, l’UE ha utilizzato altri strumenti a sua disposizione per far fronte alla situazione instabile nel proprio vicinato: sanzioni commerciali e finanziarie contro la Russia dopo la sua invasione della Crimea, messa in atto di una solidarietà energetica nei confronti dei paesi dell’Europa centrale e dell’Ucraina, al fine di rafforzare la loro sicurezza di approvvigionamento, aumento degli aiuti europei a paesi come la Turchia affinché rafforzino la lotta alla criminalità organizzata, ecc.

Rafforzare l’architettura europea di sicurezza collettiva
Le autorità nazionali ed europee devono ormai guardare oltre le emergenze che hanno dovuto affrontare da qualche anno allo scopo di promuovere una visione condivisa dell’architettura europea di sicurezza collettiva che combini diversi pilastri complementari sul nostro territorio, ai nostri confini e nel nostro vicinato.

Spetta a queste autorità il compito di operare per la creazione di una “procura europea” capace di agire efficacemente per dare la caccia a criminali e terroristi, attivando con rapidità gli apparati di polizia e giudiziari degli Stati membri; spetta a loro promuovere la totale cooperazione dei servizi di polizia in seno a un “Europol” rafforzato e la comunicazione efficace delle informazioni detenute dai servizi nazionali di intelligence, creando una cultura europea di scambio complementare alle cooperazioni bilaterali.

Spetta alle autorità nazionali ed europee riuscire a trasformare Frontex in un vero e proprio “Corpo europeo delle guardie di frontiera”, che deve essere dotato di mezzi logistici e umani autonomi e intervenire al di là dei periodi stessi di crisi per consolidare la fiducia reciproca tra Stati membri.

Spetta a loro anche condividere maggiormente i propri mezzi militari per proteggerci meglio: maggiore solidarietà nel finanziamento delle operazioni europee esterne mediante il meccanismo “Athena”; utilizzo effettivo dei “battles groups” e nuove collaborazioni in materia di armamenti mediante cooperazioni industriali e ordini congiunti; una strategia graduale che mira all’istituzione di una “cooperazione strutturata permanente” in materia di difesa da parte degli Stati favorevoli; last but not least, aumento e migliore coordinazione delle spese e degli investimenti militari, al fine di evitare sovrapposizioni e di migliorare la forza d’urto degli europei. Questo slancio militare costituisce una condizione sine qua non per dotarci dei mezzi necessari per impegnarci nel nostro vicinato e nel mondo e per non lasciare che la nostra sicurezza dipenda da alleati americani indispensabili ma desiderosi di disimpegnarsi e dunque favorevoli in linea di principio all’avvento del “pilastro europeo” dell’Alleanza atlantica.

Spetta infine alle autorità nazionali ed europee completare questa strategia di sicurezza con degli accordi e delle partnership che mobilitino gli strumenti tradizionali dell’UE – aiuto finanziario, cooperazione tecnica, apertura degli scambi, ecc. – per non affidarsi alle sole virtù del “soft power” di fronte alle crisi e alle guerre che scuotono il nostro vicinato.

Tutti i paesi dell’UE sono chiamati a contribuire a rafforzare la sicurezza collettiva europea, compreso il Regno Unito, che potrà partecipare più efficacemente in quanto membro dell’UE. In materia di sicurezza, come dinanzi a molte altre sfide globali, David Cameron ha in ogni caso perfettamente ragione nel sottolineare che siamo “più forti insieme”!