Da Andreatta a Draghi

Da Andreatta a Draghi

Articolo di Enrico pubblicato su Europa, mercoledì 16 febbraio

Questo anniversario ci offre una straordinaria occasione per discutere dell’autonomia della politica monetaria oggi e allo stesso tempo dell’azione e del pensiero di Nino Andreatta. Lo ricordiamo innanzitutto con profonda nostalgia.

L’Italia di oggi sarebbe senz’altro diversa se non fosse improvvisamente mancata la sua azione.

La svolta che in quel periodo di trent’anni fa scaturì dalla sua lettera a Ciampi porta l’impronta della sua personalità nei suoi multiformi aspetti.

Vi sono la tenacia e la determinazione a individuare i gangli vitali sui quali intervenire per introdurre modifiche di lungo periodo. Mai come oggi il lungo termine appare come un’aspirazione necessaria per un sistema, il nostro, ormai drammaticamente accorciato nei suoi orizzonti. Godiamo oggi dei benefici di quella scelta ed esaltare quell’episodio significa anche esprimere con forza il timore che una società di cortotermismo possa morire e che per vivere si debba fortificare l’alleanza del lungo termine. Vi è la dimensione europea da sempre tipica del pensiero e dell’azione di Andreatta. Dimensione europea che è parte integrante di quella decisione. Da quel momento si sono create le prime condizioni perché l’Italia potesse partecipare alla più grande avventura positiva della nostra storia recente che è senz’altro la nascita e il successo della moneta unica europea.

Vi è tutta l’abilità politica di Andreatta.

Una diffusa vulgata che gli attribuiva un’alterità rispetto alla dimensione più prettamente politica della vita istituzionale è smentita dalla vicenda del divorzio, per come Andreatta stesso ce la racconta nell’articolo pubblicato dal Sole 24 Ore in occasione del decennale.

Con saggezza e abilità infatti Andreatta riuscì allora a evitare gli ostacoli che la politica frapponeva a quella rivoluzionaria decisione. A dimostrazione del fatto che la dimensione politica (nella sua accezione nobile) dell’azione di Andreatta fu in questo e in tanti altri casi della sua vita, una dimensione piena, intensa e di successo.

E ancora vi è in quella scelta la sintesi di un pensiero di politiche economiche che Andreatta ha sviluppato in molti passaggi della sua vita al servizio delle istituzioni. È la scelta di tentare in modo tranchant di porre rimedio al vizio italiano di una politica di spesa pubblica disinvolta e priva del necessario rigore.

Vi era in quella decisione l’idea che la spesa pubblica non fosse una dimensione altra rispetto alle risorse proprie di ogni cittadino contribuente. Vi era l’idea che solo se si fosse considerato con rigore l’utilizzo di ogni lira delle risorse comuni si sarebbe potuto creare quel circolo virtuoso tra la fedeltà contributiva e l’efficienza dei servizi pubblici. E che solo così ci sarebbe stata crescita vera e duratura.

Tutte le riflessioni sin qui sviluppate richiamano stringenti motivi di attualità.

Questa è la ragione più profonda che ci ha portato, come Arel, il centro di ricerche fondato da Andreatta ormai trentacinque anni fa, a provocare la discussione odierna.

Quella vicenda, infatti, ha immesso nel nostro sistema il concetto di indipendenza e terzietà come mai prima di allora era stato vissuto. L’idea che fosse necessario per il corretto funzionamento delle nostre istituzioni l’esistenza di autorità indipendenti, indipendenti sia dal potere politico che dagli attori della vita economica, trova nella decisione che Andreatta e Ciampi allora presero, un punto di svolta senza ritorno.

Da quel momento la strada fu tracciata e il nostro paese assunse sempre di più i contorni e le caratteristiche che avevano gli altri paesi europei e di cui si stavano dotando le stesse istituzioni comunitarie.

La presenza di Autorità indipendenti forti, efficaci e ben regolate è condizione oggi essenziale per la competitività del paese. Lo insegna la storia europea recente. Lo insegna l’ultima grande crisi finanziaria.

Queste riflessioni sono vere, a maggior ragione se parametrate al caso italiano dove l’insofferenza verso l’indipendenza e la terzietà rappresentano uno dei mali che affligge il paese; solo un circuito corretto tra potere politico, autorità terze, mercati e realtà sociale del paese può far ripartire crescita e dinamismo. Perché solo con l’affidabilità del rispetto delle regole e degli arbitri si attirano investimenti e si convincono gli operatori a scegliere il nostro paese per le loro azioni di lungo periodo.

Parte integrante di questa cornice di affidabilità è data dal ruolo delle autorità indipendenti. Ruolo che la politica deve rispettare, vorremmo dire, deve ricominciare a rispettare non per astratto formalismo, ma perché solo così si costruisce un paese realmente competitivo, solo così, insieme certo ad altre scelte, si creano condizioni di crescita duratura.

La riflessione attorno al tema dell’autonomia e dell’indipendenza si declina naturalmente in modo del tutto particolare per quel che riguarda oggi la politica monetaria. Oggi infatti ci sono l’euro e la Bce. Era ciò che sognavano Ciampi e Andreatta, come traspare anche dalla testimonianza di cui oggi ci onora Carlo Azeglio Ciampi e al quale siamo profondamente grati.

La dialettica tra le istituzioni europee e i governi nazionali nei mesi scorsi è ruotata proprio attorno a questo concetto di autonomia. La Bce è stata messa sotto pressione dai governi nazionali; ha dato il suo contributo importante per il fronte comune contro la crisi realizzato dalle istituzioni europee.

Ma ha anche resistito e deve resistere rispetto alle pressioni che vogliono vederne snaturato il ruolo. È sbagliato l’atteggiamento dei governi nazionali quando pensano di poter scaricare sulla Bce una parte significativa delle responsabilità di politica europea che invece sono titolarità proprie dei governi e delle altre istituzioni europee che essi stessi stanno contribuendo invece a indebolire.

Non si può chiedere infatti alla Bce di sostituirsi a politiche economiche che altri, che ne avrebbero la vera titolarità, non costruiscono o che non vogliono costruire. Con forza bisogna rimettere al centro il ruolo della E dell’acronimo di Maastricht. Riprendo il cuore dell’intervento con cui Mario Monti ha introdotto quella straordinaria occasione di dibattito europeo che è stata la celebrazione per Tommaso Padoa Schioppa svoltasi in Bocconi il primo febbraio scorso.

Uem infatti era l’acronimo completo dal quale la E è rimasta sempre più marginale, e oggi questa asimmetria tra politiche economiche, troppo nazionali, e politiche monetarie, tutte integrate, è causa principale dello squilibrio e dell’inefficacia dell’Europa.

Riproporre quindi, a partire dalla lezione che ci viene da questo così particolare trentennale, il valore dell’autonomia della politica monetaria vuole anche dire a livello europeo spingere per una ripresa del processo di integrazione europea sul versante più prettamente economico. Senza di essa la capacità di crescita di Paesi come l’Italia risulta profondamente compromessa.

Vuol dire rimettere l’Europa al centro della nostra agenda. Mai come oggi la debolezza dell’Europa inchioda l’Italia al profilo di paese in crisi. Dopo il decennio dell’euforia, quello degli anni ’80, e quello del rigore, gli anni ’90, siamo reduci dal decennio perduto. Nei dieci anni che abbiamo dietro le spalle l’Italia, com’è noto, è stato l’ultimo paese del Fmi nella graduatoria della crescita e la ricchezza procapite degli italiani come Bankitalia ha recentemente certificato, è addirittura arretrata oggi rispetto al 2000. Se la crisi istituzionale e politica europea fosse destinata a durare, le possibilità per l’Italia di fare di questo decennio il tempo del risveglio piuttosto che quello della decadenza sarebbero compromesse.

E per un’Europa più forte perché più integrata, l’Europa stessa ha anche bisogno di un’Italia protagonista. La crisi europea è infatti la somma di vari fattori: la debolezza di alcuni paesi membri tradizionalmente importanti, Benelux, Italia, Spagna, la trasformazione sempre più evidente della Commissione da organo politico a organismo dal profilo più grigio e funzionariale, la scelta infausta in tema di guida della politica estera comune.

Tutto è ormai sulle spalle di un altalenante e intermittente rapporto tra Francia e Germania. E in un simile quadro vanno giudicate come un passo avanti le proposte presentate all’ultimo Consiglio europeo. Preoccupazione va tuttavia espressa sul tema del debito per quanto riguarda paesi come l’Italia, dove appare evidente la sottovalutazione dell’impatto che avrà l’eventuale approvazione delle ipotesi di riforma del Patto di stabilità oggi in circolazione.

È stata quindi soprattutto la Bce in questi tempi difficili a svolgere un ruolo guida. Bce oggi al centro dell’attenzione generale anche per il delicato nodo della successione alla sua guida, per essa l’Italia gioca, con la candidatura del governatore della Banca d’Italia, una partita di gran rilievo, che vede impegnato l’intero paese, pur sapendo che il passaporto in casi come questo non dovrebbe contare.

Siamo quindi grati al governatore Draghi, in questo momento così particolare, di avere accettato di svolgere la sua riflessione sul tema dell’ “autonomia della politica monetaria” a partire proprio da Andreatta, Ciampi e le vicende di trent’anni fa. A lui guardiamo come a un punto di riferimento che ci rende orgogliosi, in grado di tenere ancora alto il nome dell’Italia in Europa.

* testo dell’intervento introduttivo al convegno dell’Arel su “L’autonomia della politica monetaria”