Dopo Monti nulla sarà più come prima. Anche per il Pd

Dopo Monti nulla sarà più come prima. Anche per il Pd

Intervista rilasciata da Enrico Letta a Albino Salmaso pubblicata su Il Mattino di Padova sabato 14 gennaio 2012

«Dopo Monti nulla sarà più come prima». Enrico Letta, vicesegretario del Pd definisce una vergogna il voto con cui Lega, Pdl e radicali hanno salvato l’onorevole Cosentino dall’arresto. È la casta che salva se stessa, che non accetta il principio di eguaglianza di fronte alla legge.  Una casta che resiste grazie al patto Berlusconi-Bossi, ma il patto di ferro sta vacillando e allora va ripensato il quandro delle alleanze. E il primo nodo da sciogliere si chiama legge elettorale.

Ma nel Veneto leghista che futuro può avere il Pd? Dopo aver sorseggiato un caffè, Enrico Letta ribatte con tenacia: «Governiamo tre grandi città: Venezia, Padova e Vicenza con tre popolarissimi sindaci, Orsoni, Zanonato e Variati. È questa la strada da seguire. Ripartire dalla buona politica delle città, anche per cambiare la legge elettorale».

Ieri mattina alle 11, il vicesegretario nazionale del Pd ha visitato il carcere di reclusione di Padova per capire come la cooperativa Giotto abbia costruito un miracolo di efficienza e solidarietà, portando il lavoro ad un centinaio di detenuti. Al suo fianco Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera (Pdl) e poi i sindaci Flavio Zanonato e Giorgio Orsoni.

I detenuti lavorano come pasticceri per la coop Giotto (che ha sbaragliato la concorrenza con una linea di eccellenza nei panettoni e nei dolci) ma anche per la valigeria Roncato, le bici Rizzato e per altre aziende del settore del legno. Un modello da imitare in Italia.

Poi nel pomeriggio Letta ha tenuto un forum nella redazione del mattino, ha incontrato i dirigenti del Pd e, infine, ha presentato con Daniele Marini il libro di Maurizio Lupi La prima politica è vivere.

Onorevole Letta, la Corte Costituzionale ha bocciato i referendum e il presidente Napolitano ha inviato un appello ai partiti perché trovino un accordo e modifichino la legge elettorale. Bossi e Berlusconi però non vogliono cambiare il porcellum che consente loro di nominare in Parlamento i Cosentino, i Papa, i Marco Milanese, ecc. secondo lei c’è veramente un clima di dialogo per cambiare il sistema elettorale?

« Avrei preferito andare a votare e dare ai cittadini libertà di scelta. Noi abbiamo raccolto le firme per il referendum ma rispettiamo la Corte Costituzionale e va recepito senza se e senza ma l’appello del Capo dello Stato: bisogna cambiare la legge elettorale perché è la peggiore che ci sia in quanto ha favorito la nomina dei parlamentari. Il caposaldo del nuovo sistema è semplice: il deputato deve essere scelto dai cittadini. L’ideale sono i collegi in modo tale che chi viene eletto rappresenti davvero la maggioranza degli elettori».

Si tratta di tornare al «Mattarellum» o c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte?

«Il Mattarellum mi è sempre piaciuto e così pure il doppio turno di Comuni e Province, che ha dato ai sindaci una grande fonte di legittimazione. Detto questo mi sento di stigmatizzare gli attacchi di Antonio Di Pietro al Capo dello Stato e alla Corte Costituzionale: quel linguaggio mi ricorda Berlusconi e noi lo rigettiamo».

Allora è proprio vero che tra Pd e Di Pietro ormai si è scavato un fossato?

«Non per colpa nostra. Il Di Pietro che oggi attacca il Capo dello Stato non può fare un pezzo di strada con il Pd. Per noi la terzietà delle istituzioni di garanzia, Corte Costituzionale e Quirinale, sono punti di riferimento essenziali e l’approccio anti-istituzionale di Di Pietro è incompatibile con un quadro di alleanze».

Ma senza Idv e Sel con chi pensate di costruire l’intesa?

«Ritengo che sia più semplice lavorare con Vendola che con Di Pietro. E dobbiamo poi guardare al Terzo Polo per costruire una nuova coalizione. Oggi però la vera emergenza è salvare l’Italia. Dopo ragioneremo di alleanze».

L’asse Pdl-Lega-radicali ha evitate l’arresto di Nicola Cosentino, accusato di essere il «referente politico dei Casalesi», ora che succederà?

«Il voto su Cosentino è una vergogna  e nasce da un errore gravissimo del Pdl che ritiene di poter salvare la casta: tutti gli imputati dell’inchiesta sono in carcere, tranne il parlamentare del Pdl che gode di una posizione di vantaggio. La Lega, poi, ha dimostrato di essere senza bussola, in preda al caos più assoluto. Lo scarto è stato appena di 11 voti e i 6 radicali sono stati tecnicamente determinanti: li abbiamo eletti nelle nostre liste e la loro scelta è gravissima e incomprensibile perché avalla l’idea che i parlamentari sono una casta».

Parliamo del Pd: nel 2008 avete scelto capolista per la Camera Massimo Calearo, nel 2010 Bortolussi come governatore per la Regione con l’obiettivo di parlare al mondo delle piccole imprese: non è andata bene. Che idea avete del Nordest?

«Il ragionamento sul Nordest va legato al successo del nuovo premier: dobbiamo essere interpretati come il partito che ha voluto il governo Monti per far ripartire l’Italia. Non è una sfida astratta: il nuovo successo dell’asta dei Btp, dopo quello dei Bot, ci fa intravedere una luce. Certo, ci sono difficoltà a interpretare i bisogni della società veneta ma per fortuna abbiamo tre bravi sindaci: Zanonato, Variati e Orosoni sono delle punte di diamante e rappresentano il Veneto delle grandi città. Dobbiamo ripartire dai sindaci e indicare al Nordest il bersaglio grosso: il successo del governo Monti».

Il premier ci deve  portare fuori da una crisi finanziaria che rischia di travolgere non solo l’Italia ma anche l’Europa: proprio in queste ore Monti sta incontrando il Terzo Polo, poi vedrà Pdl e Pd. Mancano ancora le misure per la crescita: lei cosa propone?

«Dobbiamo lavorare per una riforma fiscale coraggiosa che sposti il peso del prelievo sulle spalle di chi non produce e vive di rendita. L’Irap è stata modificata con incentivi per l’assunzione di giovani e donne: è un passo importante. C’è poi un secondo capitolo delle infrastrutture che implica scelte precise: troppi aeroporti frammentati da Albenga a Ronchi dei Legionari e ciò fa la fortuna di Parigi, Monaco e Francoforte. Le autorità portuali vanno accorpate e ci aspettiamo molto dal ministro Passera dal rilancio delle infrastrutture delle piccole opere del project financing. Abolire il modello del Ponte sullo Stretto di Messina con aiuti ai piccoli cantieri. Il governo ha dato un bel segnale con il rifinanziamento della tranche che riguarda il Mose di Venezia, vera eccellenza italiana nel mondo per l’ingegneria. Il terzo capitolo riguarda le liberalizzazioni: non solo notai, farmacie e taxi. Ci vuole il coraggio di mettere mano all’energia: per il gas lo scorporo tra Snam Rete gas e Eni diventa essenziale e non capiamo perché nelle prime bozze questo tema non venga toccato. E così pure le infrastrutture e i trasporti con la nascita dell’Autorità. E per le banche e le assicurazioni ci vuole più concorrenza».

Onorevole Letta, i nostri lettori web ci segnalano due temi: l’emergenza criminalità che lascia i sindaci impotenti di fronte alla violenza e poi il dramma della disoccupazione che sta si sta allargando in Veneto. Lei che impegni  può assumere?

«È vero: con  le ronde padane non si ferma il crimine ma ci si copre di ridicolo, ci vogliono quindi strumenti legislativi adeguati per i sindaci, ma l’imbarbarimento dei rapporti personali di questi giorni impone un altro senso delle relazioni umane a prescindere dal numero dei poliziotti. I sindaci non vanno lasciati soli. Veniamo invece al vostro lettore che teme l’incubo della disoccupazione: qui va fatta subito la riforma degli ammortizzatori sociali. Il nostro sistema è basato ancora sulla fabbrica fordista e non funziona più. In tre anni di crisi si sono spesi 24 miliardi di euro per ammortizzatori in deroga. Ne abbiamo già parlato con il ministro Fornero e Bersani illustrerà a Monti la nostra riforma: gli ammortizzatori sociali vanno estesi anche ai dipendenti delle aziende più piccole. In secondo luogo la riforma va legata al reinserimento al lavoro e non dev’essere più un accompagnamento alla pensione negli stati di crisi. Insomma, il nuovo welfare deve diventare lo zaino che ogni lavoratore si porta dietro in ogni fase di mobilità. Senza questa riforma non ha senso modificare l’articolo 18 perché la libertà di licenziamento esiste già: in un anno hanno perso il lavoro 800mila persone».