Letta: Riformisti fuori gioco. Così l’UE diventa della Merkel

Letta: Riformisti fuori gioco. Così l’UE diventa della Merkel

Letta flagsIntervista di Enrico Letta a Paolo Pietrone per Il Mattino del 19 luglio 2015
Dimessosi dal Parlamento, «ma non dalla politica», Enrico Letta la settimana dopo la pubblicazione dell’intercettazione tranchant sulla staffetta a Palazzo Chigi, preferisce parlare di Europa, di speranze e idealità, quelle che dovrebbero essere il motore principale della politica: «Oggi invece tutto è fondato sul minuto successivo, sull’hashtag, sull’emoticon… Manca una visione lunga. Ma resto convinto che è meglio un libro di un hashtag». L’ultimo lavoro di Letta si intitola «Andare insieme, andare lontano» (Mondadori editore) presentato ieri a Positano nell’ambito della XXIII edizione di «Passioni e desideri».
Quale Europa ci consegna la drammatica vicenda greca?
«Un’Europa in grande crisi di prospettiva. Con la lodevole eccezione della Banca centrale di Mario Draghi stanno scomparendo le istituzioni comunitarie a vantaggio degli stati che prendono sempre più il sopravvento. L’Unione deve essere gestita dalle sue istituzioni e non dai paesi che ne fanno parte perché la Germania non rappresenta tutti a differenza della Commissione e del Parlamento europeo. L’immagine emblematica di questa crisi è la foto dell’altra notte, quella finale: da una parte del tavolo Francia e Germania; dall’altro la Grecia con l’assenza soprattutto di Juncker, il presidente della Commissione. Ed ecco la trappola in cui ci siamo infilati, quella dei nazionalismi: greci contro i tedeschi, questi ultimi contro tutti e così via».

Popolari a trazione Merkel e riformisti assenti dalla vicenda greca, l’Europa è rimasta orfana delle sue due principali famiglie politiche, popolari e socialdemocratici?
«Soprattutto i secondi: la drammatica assenza di leadership dimostrata dalla sinistra europea è sotto gli occhi di tutti. E l’Italia deve porsi il problema di quale ruolo vuole esercitare».

Governo assente?
«L’unico che ha giocato una partita positiva è stato Hollande riuscendo a limitare i danni ed evitando l’uscita della Grecia dall’Euro, oltre ad obbligare la Germania a un comportamento più cooperativo. Nel complesso, però, la sinistra esce con le ossa a pezzi perché se Tsipras esercita comunque un ruolo, gli altri non sembrano della partita».

Il Pd è la principale forza dei Socialisti&democratici a Strasburgo.
«L’Italia e il suo governo possono esercitare un grande ruolo di prospettiva senza fermarsi alle polemiche del giorno per giorno. C’è bisogno di mettere in primo piano l’integrazione federale dei paesi che condividono la moneta unica per consentire anche ai Ventotto di condividere tutte le altre politiche, dal commercio all’agricoltura, consentendo così alla Gran Bretagna di restare a bordo. In vista del referendum, bisogna infatti convincere gli inglesi a non andare via».

L’unità politica, il sogno di Ventotene, è dunque seppellito?
«L’Unione è rimasta un’incompiuta e credo che il messaggio di questa crisi purtroppo uno: stare fermi non è possibile, o si va avanti o si torna indietro. Io penso che l’unica possibilità vera è andare avanti e integrare in modo federale le politiche dei paesi dell’area Euro».

Intanto ha vinto il rigore o Tsipras è riuscito a conseguire un risultato?
«L’austerità non ha vinto perché voleva cacciare la Grecia. Il merito va alla Francia, poi all’Italia che ha appoggiato Hollande e anche alla Merkel che alla fine si è impuntata con Schauble. Ma è evidente che il bicchiere rimane mezzo pieno».

Europa ancora riformabile?
«Ferma così non può rimanere, ostaggio di una grande contraddizione interna nel rapporto con gli stati. Negli Usa non sarebbe mai accaduto ciò che si è verificato con la Grecia perché se uno Stato fallisce interviene l’istituzione federale per distribuire risorse e imporre le riforme. Da noi, invece, la vicenda si è chiusa con una trattativa privata tra Merkel e Tsipras, ma la Cancelliera rimane il leader dei tedeschi, è stata eletta solo da loro. Per questo, senza una leadership europea forte non andiamo da nessuna parte».

Questione di elezione diretta o mancanza di classi dirigenti europee?
«Entrambe. Un primo passo è stato legittimare Juncker in Parlamento, ma non basta perché ci sono classi politiche troppo schiacciate sulle prossime elezioni, sui sondaggi e usano l’Europa come capro espiatorio. Il proliferare dell’ euroscetticismo e dei nazionalismi sono il risultato di chi carica sull’Europa i problemi interni e fa aumentare il dissenso nei confronti dell’Unione gettando via il nostro futuro. Per competere con la crescita di giganti continentali come Cina, India, Brasile, solo un’Europa unita può sperare di stare a livello di questi colossi economici. Se invece siamo divisi non solo non gareggiamo, ma gettiamo via i valori europei: i diritti dell’uomo, dei lavoratori, la protezione dell’ambiente da noi sono declinati in maniera diversa rispetto ad altre parti del mondo. Sia chiaro: di questo passo nemmeno la Germania ce la farà da sola».

“Andare insieme, andare lontano” è il titolo del suo ultimo libro: l’ha scritto pensando all’Italia e al Pd?
«Vale per le vicende interne, come per l’Europa».

Come va la scuola di politica?
«I 620 video arrivati dai ragazzi che si sono così candidati a partecipare ai corsi sono un inno alla speranza, 620 facce pulite con una grande voglia di partecipare che mi legheranno molto al lavoro italiano, la seconda parte dell’impegno dell’anno prossimo che mi vedrà fare la spola tra Parigi e Roma».

Una squadra di venti, 25enni con Letta allenatore e non giocatore?
«Per adesso».

La panchina è importante ma servono pure calciatori di esperienza.
«C’è bisogno di pensare al futuro e questo passa per i giovani. Bisogna tornare a mettere la formazione in primo piano perché adesso è tutto fondato sul minuto successivo, sull’hashtag, sull’emoticon… Non va bene e per questo con la scuola di politica ho voluto dare un messaggio di visione lunga perché un libro è sempre meglio di un hashtag. Vale per tutti, in particolare per il Mezzogiorno».

Scomparso dall’agenda politica.
«Cercheremo infatti di fare una riflessione per capire come è stato possibile che sia uscito dai radar della politica e cosa fare per riportare la questione meridionale al centro perché se non si affronta questo problema l’Italia non ce la farà. I ragazzi che si sono proposti vengono da ogni parte del Paese, buona parte dal Sud, e speriamo di riuscire a formare una nuova classe dirigente proprio per aiutare il Mezzogiorno».