Mi scuso con chi è costretto a emigrare

Mi scuso con chi è costretto a emigrare

On the Transit by Flickr D. Lau (This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License).Enrico Letta su La Stampa risponde al lettore citato in “Brutta ciao”, il Buongiorno di Massimo Gramellini, di sabato 1 giugno.

Caro Gramellini,

mi rivolgo subito, sia pure indirettamente, ad Antonio Cascio e al suo amico. A loro devo prima di tutto delle scuse. Le scuse a nome di una politica che per anni ha fatto finta di non capire e che, con parole, azioni e omissioni, ha consentito questa dissipazione di passione, sacrifici, competenze. L’ho detto nel mio discorso per la fiducia alle Camere: siamo tutti coinvolti. Perché la rappresentazione che Antonio fa di noi è dolorosamente vera. Perché quando a generazioni intere vengono strappate la speranza e la fiducia – non d’impeto, ma peggio ancora: lentamente, giorno dopo giorno –  non c’è alibi o dissociazione personale e politica che tenga.

Io non ho mai creduto ai salvatori della Patria e alle scorciatoie. Credo nella comunità. E credo che solo insieme possiamo ritrovare il senso alto e nobile del servizio al Paese. Ognuno facendo per bene ciò che gli compete, portando la sua pietra. Tutti contribuendo alla costruzione paziente di futuro. Il mio dovere, oggi, è quello di guidare un esecutivo “eccezionale”, nato da e in condizioni “eccezionali”. Il nostro impegno è di mettercela tutta, cercando di fare il possibile per restituire una speranza a chi non riesce più neanche solo a immaginare il proprio domani, una ragione per restare a chi si sente costretto a lasciare l’Italia, un motivo per credere che la fatica sarà ricompensata, il merito riconosciuto, i debiti sanati.

E il debito più pesante che stiamo contraendo – reiterando gli sbagli delle generazioni che ci hanno preceduto – è nei confronti dei giovani. È un errore imperdonabile. Per questo ho ripetuto più e più volte che la priorità del governo sono proprio loro. Nell’ultimo mese abbiamo speso ogni sforzo e dedicato ogni colloquio per far sì che al vertice europeo di fine giugno nell’agenda dei capi di Stato e di governo dell’Ue ci fosse la lotta alla disoccupazione giovanile. Ci siamo riusciti. Inoltre, già nei prossimi Consigli dei ministri porteremo un pacchetto di provvedimenti per depurare il mercato del lavoro da incrostazioni e iniquità, rendere più conveniente l’assunzione stabile dei giovani, sostenere l’Italia che fa e che innova, portare i ragazzi italiani ad avere un livello di istruzione e mobilità sociale più vicino a quelli dei coetanei europei, liberare le energie di un Paese soffocato da burocrazia, privilegi, conservazione.

Ci muoviamo in un pertugio stretto. Dobbiamo tener fede agli impegni europei e non fare più debiti, per non caricare ulteriormente sulle spalle delle generazioni future una zavorra che già oggi ci costa tra gli 80 e i 90 miliardi di euro di interessi.

Abbiamo, quindi, la responsabilità di scegliere: di decidere in modo selettivo dove agire e come trovare le coperture. Possiamo farcela, ma solo se non ci lasciamo condizionare dall’ossessione del consenso immediato, dalla consultazione compulsiva delle dichiarazioni, da quella corrida permanente – tra partiti e dentro i partiti – che tanto ha contribuito alla paralisi nella quale siamo precipitati e da cui ci ha sollevati solamente l’intervento del presidente Napolitano.

Possiamo farcela ma solo se il nostro primo, irrinunciabile, obiettivo sarà simbolicamente mettere l’amico di Antonio nelle condizioni di scegliere se andare o restare. Se realizzare qui, in un Paese migliore, le proprie aspirazioni di vita o di lavoro oppure se partire per arricchirsi della complessità del mondo e poi eventualmente, se vuole, ritornare e dare il proprio contributo alla ricostruzione, faticosa ma possibile, del futuro della Repubblica Italiana che proprio oggi festeggia l’anniversario della sua nascita. In caso contrario, ci troveremmo, ancora una volta, a dover chiedere scusa. A lui e ai milioni come lui. Ai più giovani. Ai nostri figli e nipoti. Sono certo che non ci perdonerebbero.