Se la Scozia ci ricorda l’attentato di Sarajevo

Se la Scozia ci ricorda l’attentato di Sarajevo

Caro direttore, il referendum in Scozia come l’attentato di Sarajevo?

Saranno le suggestioni del centenario della Prima guerra mondiale, ma l’associazione tra Sarajevo, con le concatenazioni che distrussero l’Europa un secolo fa, e le possibili conseguenze dell’indipendenza scozzese nel referendum di giovedì potrebbe non essere troppo forzata.

Un sì o un no che pronunceranno pochi milioni di cittadini scozzesi ma che inciderà anche sul nostro futuro, oltreché sul loro.

Una scelta disgregatrice figlia di un populismo istituzionale che offre soluzioni semplici con l’illusione di risolvere problemi, che invece uscirebbero inevitabilmente aggravati se giovedì vincesse il distacco della Scozia da Londra.

Proviamo a riflettere sulle conseguenze su di noi e sull’Europa. L’indipendenza scozzese darebbe subito forza alle tesi di chi vuole l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il referendum per prendere quella decisione, già annunciato per il 2017, vede sondaggi preoccupanti e un’uscita della Scozia dal Regno Unito prima di quella consultazione, toglierebbe ai contrari all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue il supporto degli scozzesi, che sono la parte píù pro europea del Paese. Inoltre la dinamica disgregativa che si instaurerebbe porterebbe facilmente acqua al mulino dell’idea isolazionista e anti europea.

In concreto credo che l’uscita della Gran Bretagna nel 2017 sarebbe un terremoto per l’Ue. I suoi effetti negativi sarebbero molteplici; dal fatto che dal Regno Unito viene oggi la più forte spinta per aprire ulteriormente il mercato unico e rendere meno burocratiche e più efficienti le istituzioni dell’Unione, all’importanza cruciale che riveste la Gran Bretagna per spingere l’Ue a finalizzare il «Ttip», il grande accordo del commercio internazionale con gli Usa, così importante anche per aiutare le nostre produzioni a rompere il protezionismo americano. Lo stesso vale per l’indebolimento che, nella proiezione internazionale, avrebbe un’Ue senza la forza della politica di sicurezza della GB, e nei mercati mondiali un’Ue senza Londra, insostituibile capitale finanziaria europea. Inoltre l’Europa senza la Gran Bretagna sarebbe più piccola e povera, perdendo l’11% del proprio bilancio. Il messaggio di un’Ue che dopo la terribile crisi economica di questi anni perde un pezzo così importante rafforzerebbe l’idea di un continente che ha imboccato la china discendente.

Ma la perdita per l’Europa sarebbe comunque immediata già giovedì sera, a prescindere dalle conseguenze dell’indipendenza scozzese sul futuro referendum sull’uscita della GB dall’Ue. Il leader indipendentista e first minister scozzese Salmond non dice infatti che, una volta la Scozia staccatasi da Londra, le possibilità di entrare nell’Ue come ventinovesimo Stato sono praticamente nulle. La regola dell’unanimità in Europa vale infatti ormai per poche decisioni, ma una di queste è l’ingresso di nuovi stati membri. E la Scozia indipendente staccatasi dalla Gran Bretagna dovrebbe presentare formale domanda di adesione che, al di là dell’atteggiamento della GB stessa, troverebbe il no sicuro almeno della Spagna, per via dell’evidente legame tra l’indipendenza scozzese e quella della Catalogna. Proprio quest’ultima vicenda, con il controverso referendum del novembre prossimo pare l’altra possibile tappa di un effetto a catena del populismo istituzionale che sembra aver preso piede di questi tempi in varie parti d’Europa. Sembra un modo per spostare i problemi e indicare nella capitale, Madrid, e nella dinamica unitaria la colpa della crisi economica e sociale che ha colpito anche la Catalogna.

Caratteristica tipica del populismo è quella dí trovare e additare colpevoli ben visibili e indistinti per coprire i problemi veri. E quella risposta populista così semplice e attraente nei comizi e nei dibattiti, quando si trasforma in percorsi istituzionali concreti, finisce invece per avere conseguenze negative sulla vita degli europei. Non vi è infatti uno solo dei problemi della vita dei cittadini scozzesi o catalani che troverebbe miglioramento con l’indipendenza. Viceversa questi strappi avrebbero effetti disgregatori che allontanerebbero investimenti e imprese e farebbero calare ulteriormente l’occupazione e la competitività. L’integrazione europea, con il valore della sussidiarietà al cuore dei Trattati ha sviluppato l’idea forte dell’autonomia, ben diversa sia dalla semplificazione populistica del separatismo che dall’inerzia centralistica. L’esperienza autonomistica italiana, a partire dal caso del Trentino Alto Adige, dimostra che convivere è possibile. E sia in Scozia sia in Catalogna sono tante le voci che chiedono di perseguire terze vie tra centralismo e indipendenza. A Barcellona la rottura tra i partiti catalanisti con la spinta indipendentista di Artur Mas in opposizione rispetto ai più saggi fautori di una terza via alla Josep Duran, dimostra come il populismo istituzionale ancora non abbia vinto e come possano prevalere posizioni ragionevoli, sempre che non prevalga l’effetto a catena del sì scozzese giovedì.

L’Europa deve agire per risolvere i problemi della disoccupazione che sale, della crescita che manca, del welfare che non regge. Questi sono i grandi temi. Ma su questi temi è difficile dare risposte semplici che suscitino facili entusiasmi. Si rischia così, con il populismo istituzionale del separatismo, di alimentare quella deriva che già ha ottenuto più di un quarto dei voti in Europa alle elezioni di maggio. Resistere al populismo senza rincorrerlo, rilanciando su un’integrazione che si concentri su risposte comuni, concrete e innovative ai problemi della crescita e del lavoro, questo è il difficile compito delle leadership di oggi.