Per una moderna politica antimafia

Il rapporto contenente le linee guida di una moderna politica antimafia è stato redatto dalla Commissione per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità, istituita nei mesi scorsi dal presidente del Consiglio, Enrico Letta.

E’ stato lo stesso Letta, insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e al Vice presidente e ministro dell’Interno Angelino Alfano, a presentare il pacchetto di proposte, elaborate dal segretario generale della presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, magistrato del Consiglio di Stato e presidente della Commissione assieme a Magda Bianco (dirigente Banca d’Italia), Raffaele Cantone (magistrato di Cassazione), Nicola Gratteri (procuratore aggiunto di Reggio Calabria), Elisabetta Rosi (magistrato di Cassazione), Giorgio Spangher (professore ordinario di procedura penale).

 

Prefazione 
di Roberto GAROFOLI, Presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità

1. Il campo di indagine della Commissione. La criminalità mafiosa“: i fenomeni delinquenziali connessi e l’efficienza del processo penale

Le mafie, con la pervasiva e crescente capacità di infiltrazione nel tessuto istituzionale e nel sistema imprenditoriale di cui dispongono e di cui hanno da sempre dato prova, mettono a repentaglio la democrazia, sfibrando il tessuto della società, inquinando le istituzioni pubbliche, alterando le regole più elementari dell’agire economico.
Come affermato dalle Nazioni Unite”Il crimine organizzato è una delle principali minacce alla sicurezza umana, che impedisce lo sviluppo sociale, economico, politico e culturale delle società nel mondo“(1).
È quindi necessario irrobustire le politiche di contrasto anche mirando su strategie di intervento innovative, ela­borate tenendo conto delle trasformazioni che hanno attraversato il fenomeno mafioso, oltre che delle dimensioni che lo stesso ha assunto nel nostro Paese.

Quanto all’ambito dei lavori della Commissione, si è ritenuto di tener conto della distinzione giuridica e concettuale tra criminalità organizzata e vera e propria criminalità di stampo mafioso: nozioni e fenomeni di frequente sovrapposti nel linguaggio comune e talvolta in quello legislativo, e pur tuttavia tra loro distinti.
Nel nostro ordinamento non esiste una definizione di criminalità organizzata (2); ricorre, tuttavia, una definizione di cri­minalità organizzata di tipo mafioso, contemplata dall’art. 416-bis c.p. (recante specificamente l’incriminazione del reato di associazione di tipo mafioso), a cui rinvia anche l’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203)che prevede una circostanza aggravante speciale da applicare a qualsivoglia delitto nel caso in cui l’azione sia posta in essere con metodo mafioso o al fine di favorire un’organizzazione di tipo mafioso. È proprio il terzo comma dell’art. 416-bis c.p. a fornire una definizione di “metodo mafioso”, consistente nell’utilizzo che il sodalizio e i suoi componenti fanno “della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”2.
Sicché, il genus “criminalità organizzata” ricomprende anche la criminalità organizzata di tipo non mafioso, come la criminalità organizzata di tipo terroristico-eversivo ed anche la criminalità dedita ad altre attività suscettibili di essere condotte in forma organizzata, come il contrabbando, il traffico di rifiuti, le frodi comunitarie: si tratta, pertanto, di nozioni e fenomeni distinti, ancorché tra gli stessi non manchino certo interferenze.
Ebbene, la Commissione, pure consapevole delle intense connessioni criminologiche e di disciplina tra i due fe­nomeni descritti, si occupa – nell’analisi e nelle proposte di intervento- principalmente dellacriminalità mafiosa: tanto alla luce della particolare rilevanza del fenomeno.
Per le stesse ragioni la Commissione non si sofferma su profili e fenomeni delinquenziali che, pure non estranei all’attività delle organizzazioni mafiose, presentano un ambito assai più esteso: tra questi, per esempio, quelli ri­guardanti gli illeciti ambientali e i reati societari, il falso in bilancio in specie, attualmente oggetto di una disciplina che richiede un deciso rafforzamento.
Scontato osservare, infine, che nessuna delle misure proposte dalla Commissione può dirsi davvero risolutiva in assenza di una riforma complessiva della giustizia nella direzione dell’efficienza e della congrua durata dei processi. Non vi è dubbio, infatti, che la durata media inaccettabile dei processi (anche quelli relativi a reati comuni o, su altro versante, quelli civili) sia il più grande “regalo” che si consegna alle organizzazioni mafiose.

2. Perché è necessaria una politica antimafia “moderna”. Le trasformazioni e la dimensione economica del fenomeno mafioso

Tanto chiarito, la Commissione – nell’elaborare le linee guida di una possibile politica di contrasto – ha tenuto conto delle trasformazioni che negli ultimi decenni hanno attraversato il fenomeno mafioso, di cui si sono accresciute la dimensione e la capacità di infiltrazione nel tessuto eco­nomico, oltre che in quello istituzionale.
Si tratta di un fenomeno di cui è necessario che sia apprezzata, in uno alla rilevanza criminale in senso tradizionale, la rilevantissima portata “economica”, come attestato:

  • dalle dimensioni raggiunte,
  • dalla sicura attitudine a sortire un effetto di vigoroso freno alla crescita di intere aree del Paese,
  • dalla capacità sempre più spiccata delle organizzazioni di insinuarsi nel tessuto economico e istituzionale.

Quanto alla dimensione delle attività gestite dalle organizzazione criminali:

  • i ricavi ammonterebbero all’1,7 per cento del PIL, variando – a seconda delle metodologie seguite – da un mini­mo di 18 miliardi a un massimo di 34 miliardi di euro;
  • è stato calcolato, per difetto, che in Italia le organizzazioni criminali, con il solo mercato della droga,fatturano ogni anno 25 miliardi di euro esentasse. Sicché, dal confronto con i dati dell’economia legale, il fatturato prodotto dal mercato della droga è quasi pari a quello registrato dal più grande comparto economico del Paese ovvero il settore tessile-manifatturiero (3).
    La particolare rilevanza economica del fenomeno è peraltro attestata dalla consistenza delle confische disposte in danno delle organizzazioni: nel solo 2012 sono stati sottratti beni alla criminalità per un valore di 1.152.668.541 di euro a titolo di prevenzione patrimoniale, in netta crescita rispetto ai due anni precedenti, e per un valore di 34.847.234 di euro con riferimento alla confisca c.d. allargata di cui all’art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306.

La particolare rilevanza economica del fenomeno deriva anche dalla sua comprovata capacità di procurare una perdita di svi­luppo delle aree coinvolte riassumibile in un minore PIL pro capite.
In proposito, sono significativi i dati forniti dalla Banca d’Italianelle tre regioni (Calabria, Sicilia, Campania) in cui si concentra il 75% del crimine organizzato il valore aggiunto pro capite del settore privato (comprensivo di imprese e cittadini) è pari al solo 45 di quello del Centro Nord. 
In alcune Regioni (Puglia e Basilicata), interessate dal fenomeno solo intorno agli anni ’70, il radicamento della criminalità organizzata ha coinciso con il passaggio delle stesse da un sentiero di crescita elevata ad uno inferiore, tradottosi nell’accumulo di un significativo ritardo durante i decenni successivi fino ad arrivare a una differenza del 15 % nel PIL pro capite negli ultimi anni considerati (2007).

Infine, che si tratti di un fenomeno da valutare anche nella sua portata economica, oltre che nella sua tradizionale rilevanza criminale, è dimostrato dalla constatazione che la disponibilità di ingenti patrimoni consente alle mafie di insinuarsi pesantemente nei gangli dell’econo­mia legale, conseguendo un duplice risultato: la “ripulitura” dei proventi di attività illecite ed il conseguimento di ulteriori profitti.
Con particolare riferimento alle aziende legali, l’investimento criminale è considerato la strategia di infiltrazione più pericolosa. La presenza sul mercato di imprese controllate dalle organizzazioni criminali genera distorsioni nella concorrenza, destinate a compromettere l’integrità del tessuto socio-economico. 
In proposito, è significativo un dato statistico: negli ultimi due anni le denunce per usura, che rappresentano solo la porzione “emersa” del fenomeno criminale, sono aumentate del 155 per cento rispetto ai due anni precedenti (4), sicché imprese apparentemente legali si ritrovano, nei fatti, nelle mani della criminalità.

La capacità di “contaminazione” del sistema economico è rafforzata, peraltro, dagli stretti legami con le istituzio­ni, attraverso cui le organizzazioni criminali si garantiscono appalti, autorizzazioni e ogni altro genere di utilità o vantaggio. E’ quanto tra l’altro confermato dai dati relativi agli scioglimenti degli enti territoriali:

  • sono 229 i provvedimenti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni e/o condizionamenti di tipo ma­fioso adottati dai Governi che si sono succeduti dopo l’entrata in vigore dell’articolo 15-bisdella legge 19 marzo 1990, n. 55, che ha introdotto la relativa disciplina;
  • nel solo 2012 sono stati sciolti 24 consigli comunali;
  • quanto alla distribuzione sul territorio, le amministrazioni locali delle regioni meridionali risultano destinatarie della maggior parte dei 229 provvedimenti di scioglimento (91 amministrazioni comunali in Campania, 63 in Calabria, 61 in Sicilia, 7 in Puglia), seguite dalle amministrazioni delle altre regioni del Paese (3 amministrazioni comunali in Piemonte, 2 in Liguria, 1 nel Lazio, 1 in Basilicata).

3. Le linee guida di una moderna ed “integrata” politica antimafia

L’analisi svolta e le indicazioni delle istituzioni internazionali inducono la Commissione a ritenere che una moderna politica antima­fia debba mirare:

  • ad aggredire i benefici patrimoniali delle organizzazioni,
  • a cogliere appieno le occasioni di riaffermazione della legalità e di sviluppo dei territori interessati dal fenomeno mafioso che una efficace politica di contrasto determina,
  • a spezzare i legami tra organizzazioni criminali e tessuto economico ed istituzionale,
  • a rafforzare il sistema personale -penale e processuale- di repressione,
  • ad evitare che il degrado urbano e socio-educativo che affligge talune aree del territorio nazionale continui ad alimentare la presenza criminale nelle stesse aree.

Tanto premesso, il Rapporto propone quindi:

  • misure intese ad aggredire i patrimoni, incidendo sulle disponibilità economiche delle mafie;
  • misure dirette ad assicurare una efficace gestione e destinazione dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose;
  • misure dirette ad ostacolare le infiltrazioni nell’economia legale;
  • misure volte a incidere sui legami con le Istituzioni;
  • misure destinate a rafforzare l’apparato repressivo e a migliorare l’efficienza del sistema processuale;
  • misure tese ad incidere sul contesto economico e sociale, destinate in particolare a recidere il legame tra arretra­tezza economico-sociale e fenomeno criminale.

Non vi è dubbio, peraltro, che una efficace politica di contrasto debba anche assicurare un rafforzamento delle misure a tutela delle vittime di mafia e del dovere.

4. Il contrasto patrimoniale

4.1. Il sistema di prevenzione patrimoniale

Tra le misure proposte si segnala, con riguardo alle misure di prevenzione patrimoniale:

  • l’estensione della legit­timazione a proporle al Procuratore nazionale antimafia,
  • l’istituzione di un registro nazionale delle misure di prevenzione,
  • meccanismi di raccordo delle indagini e delle proposte tra Procuratore, Questore e Direttore della DIA,
  • il rafforzamento della confisca per equivalente, oggi limitata all’ipotesi in cui il proposto abbia manifestato finalità elusive.

La Commissione propone, inoltre, misure volte ad abbattere la durata del processo di prevenzione.
Il lungo lasso temporale che oggi normalmente intercorre tra sequestro e confisca (6-7 anni) determina, invero, il moltiplicarsi dei costi di gestione del bene e, soprattutto, il frequente depauperamento dei beni sottoposti a vincolo.
All’esito della ricognizione delle principali criticità che oggi connotano il sistema, la Commissione propone, pertanto, misure volte:

  • limitare nel tempo la possibilità di eccepire o rilevare l’incompetenza territoriale,
  • ad assicurare la trattazione prioritaria dei processi di prevenzione patrimoniale,
  • a garantire una più spiccata specializzazione professionale dei Collegi giudicanti.

4.2. Il sistema delle confische

Con riguardo alla confisca c.d. allargata, istituto di grande efficacia nel contrasto dell’accumulazione illecita dei patrimoni, la Commissione propone:

  • l’operatività anche in presenza di una sentenza che, definendo impugnazioni, prosciolga per prescrizione, a condizione tuttavia che nel processo intervenga l’accertamento, in contraddittorio, del reato;
  • l’applicabilità della misura di sicurezza patrimoniale (analogamente a quanto previsto per le misure di prevenzione patrimoniali) anche quando il condannato sia deceduto dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ne abbia accertato la responsabilità, con la previsione quindi della possibilità che si proceda nei confronti degli eredi del de cuius,
  • l’integrale estensione delle norme dettate dal Codice antimafia in materia di amministrazione dei beni oggetto di misure di prevenzione patrimoniali,
  • la velocizzazione del procedimento applicativo.

4.3. La gestione e destinazione dei beni confiscati

Proprio l’ingente patrimonio di beni e di aziende confiscati, tanto in via preventiva quanto all’esito del procedimento penale, consente di cogliere quanto importante possa essere un efficiente sistema di gestione che valorizzi detti beni quali risorse per la riaffermazione della legalità e per il rilancio economico.
In proposito, è utile considerare che ammonta a 12.946 il totale dei beni confiscati definitivamente, di cui l’89,3% (dunque 11.556 beni) si trova dislocato nelle regioni a maggiore incidenza criminale (Sici­lia, Campania, Calabria, Lombardia, Puglia). Sul totale sopra riportato:

  • 11.238 sono i beni immobili,
  • 1708 le aziende, di cui 1.211 sono affidate alla gestione dell’Agenzia.

Quanto alle aziende, giova considerare che il 90% di quelle sequestrate perviene in stato di decozione al momento della confisca definitiva, con grave dispersione di occasioni di rilancio economico e di possibili introiti erariali. 
In questa prospettiva sono state elaborate numerose proposte di riforma, fondamentalmente volte a garantire il supera­mento delle criticità strutturali e funzionali che connotano l’attuale assetto organizzativo e regolatorio.

4.3.1. L’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati

Le robuste criticità che oggi connotano l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia e la necessità di rilanciarne ruolo ed efficacia di azione inducono la Commissione a suggerire:

  • un effettivo coinvolgimento dei Ministeri interessati e della stessa Presidenza del Consiglionell’espletamento di funzioni di indirizzo dell’Agenzia: coinvolgimento consigliato dalla natura interdisciplinare dei molteplici e gravosi compiti (taluni non ancora azionati) che l’odierna disciplina affida all’Agenzia, nella cui gestione sono coinvolte competenze ricadenti nelle attribuzioni di numerosi ministeri (Interno, Giustizia, Economia, Sviluppo Economico, Lavoro, etc.),
  • una rivisitazione della platea delle professionalità tra le quali individuare il Direttore,
  • un ampliamento della composizione del Consiglio direttivo dell’Agenzia al fine di arricchirlo di professionalità e di coinvolgere tutti i soggetti interessati (esperto in materia di gestione aziendale, esperto in tema di progetti di finanziamenti nazionali ed europei, rappresentante ANCI, rappresentante delle associazioni potenziali destinatarie dei beni),
  • un incremento della pianta organica dell’Agenzia (oggi è presente una sola unità in organico), comprensiva di soggetti dotati di specifiche professionalità (di tipo tecnico e legale),
  • un rafforzamento delle competenze dell’Agenzia, con la previsione che la stessa, da un lato, svolga un monitoraggio continuo e sistematico sul riutilizzo dei beni confiscati, verificandone la coerenza con il relativo provvedimento di assegnazione, dall’altro, possa assegnare direttamente alle associazioni e organizzazioni contemplate dal Codice antimafia i beni immobili di cui risulti evidente la destina­zione sociale.

4.3.2. La gestione dei beni immobili

Quanto ai profili funzionali, giova considerare che, con riferimento alla gestione dei beni immobili, le maggiori criticità sono date dalla frequente sussistenza di:

  • ipoteche gravanti sugli stessi,
  • occupazioni abusive,
  • inagibilità connesse allo stato manutentivo.

La Commissione propone:

  • mec­canismi che consentano di coprire le spese ordinarie di manutenzione e gestione e di soddisfare i creditori di cui sia stata riconosciuta la buona fede,
  • misure dirette ad assicurare l’effettività dello sgombero degli immobili programmando, già nel corso del procedimento (di prevenzione o penale), l’immediata occupazione del bene da parte di altro soggetto (ovviamente estraneo al proposto o ai terzi intestatari), in vista della destinazione finale (incentivando in tal senso la disponibilità di enti locali, associazioni, etc.).

4.3.3. La gestione delle aziende

Essenziali, inoltre, le misure volte a mitigare le diverse difficoltà che le aziende sottoposte a sequestro o confisca affrontano durante il percorso di emersione alla legalità e che ad oggi conducono al fallimento del novanta per cento delle attività produttive sottoposte a sequestro seguito da confisca definitiva.
Peculiari difficoltà derivano dall’inevitabile aumento dei costi di gestione, dovuto al processo di legalizzazione dell’azienda e alla necessità, quindi, di far fronte al pagamento di oneri fiscali e contributivi, oltre che alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro e alla applicazione della normativa antinfortunistica; criticità aggravate dal consistente lasso temporale che intercorre mediamente (talvolta spingendosi fino a 15 anni) tra sequestro e confisca definitiva.
La Commissione propone, tra l’altro:

  • misure dirette a supportare la regolarizzazione dei rapporti di lavoro e la predisposizione delle garan­zie per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori,
  • meccanismi che consentano di ovviare al blocco dei finanziamenti, che di frequente si registra dal momento del sequestro,
  • forme di “sterilizza­zione”, limitate nel tempo, delle azioni esecutive e cautelari intraprese dai creditori sul patrimonio dell’azienda sequestrata, sul modello di quanto avviene con il concordato preventivo disciplinato dalla legge fallimentare,
  • misure dirette a garantire più spiccate capacità manageriali specifiche nella gestione delle aziende.

4.3.4. La destinazione

Quanto alla destinazione, la Commissione propone di superare talune rigidità dell’odierna disciplina, in specie suggerendo l’introduzione:

  • della possibilità di far luogo, sia pure eccezionalmente, al riutilizzo sociale delle aziende, in specie allorché le stesse siano segnate da un particolare valore simbolico nell’ambito del contrasto alla crimi­nalità organizzata,
  • della previsione di forme innovative di assegnazione “anticipata” dei beni, già nella fase del sequestro e con carattere provvisorio per quanto riguarda immobili e azien­de,
  • della possibilità, in presenza di taluni stringenti presupposti, di una vendita anticipata delle aziende, già al momento della confisca di primo grado, accompagnata da forme di garanzia per il soggetto titolare del bene inciso dalla misura patrimoniale, per l’ipotesi in cui la confisca non sia confermata in via definitiva nei successivi gradi di giudizio.

5. Le misure volte ad incidere sui legami tra mafie e sistema economico

Come anticipato, il secondo capitolo di una “integrata” politica antimafia è quello che incide sulla pervasiva capa­cità di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico legale.

5.1. L’autoriciclaggio 

Al riguardo, una efficace politica antimafia non può che ascrivere centralità alla introduzione di previsioni incriminatrici che sanzionino, a talune condizioni, il riutilizzo di denaro di provenienza illecita.
Ad oggi, infatti, il codice penale non consente la punibilità di chi ricicla i proventi del delitto che egli stesso ha commesso o concorso a commettere. Ciò implica difficoltà appli­cative non trascurabili, atteso che dalla casistica emerge come l’autore del delitto presupposto partecipa normal­mente alle operazioni di “lavaggio” dei proventi dell’attività illecita perpetrata. La mancata incriminazione contribuisce a favorire l’inserimento diretto degli investitori criminali nell’economia legale.

Peraltro, l’omessa incriminazione dell’autoriciclaggio non è coerente con le plurime sollecitazioni provenienti dalla comunità internazionale.
La punibilità della condotta di chi ricicla in prima persona i proventi della propria attività delittuosa è invero auspicata, tra gli altri, dalle:

  • raccomandazioni dell’OCSE e del Fondo Monetario Internazionale,
  • da una risoluzione (25 ottobre 2011) con cui il Parlamento Europeo ha chiesto espressamente alla Commis­sione di inserire come obbligatoria per tutti gli Stati membri l’incriminazione dell’autoriciclaggio.

La fattispecie penale di autoriciclaggio è prevista in diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Spagna, il Belgio ed è riconosciuta anche in Francia dalla giurisprudenza.

Il 23 ottobre 2013, la Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro presso il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta di armonizzazione del diritto penale in materia di riciclaggio fornendo in essa una definizione comune in materia di autoriciclaggio.

5.2. Gli interventi sul sistema finanziario

Gli organismi internazionali (segnatamente il GAFI – Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) sollecitano un approccio basato sul rischio, volto a rafforzare gli strumenti di tutela del sistema finanziario (banche, finanziarie, altri operatori), in modo da ostacolare l’infiltrazione da parte della criminalità organizzata nelle maglie dell’econo­mia legale.
I rilievi rivolti al nostro Paese hanno riguardato alcune debolezze nell’implementazione della normativa e, in par­ticolare, la necessità di adottare un approccio risk-based nell’analisi del cliente, le ridotte segnalazioni di operazioni sospette da parte dei professionisti, l’insufficienza delle ispezioni e delle risorse dedicate ai comparti dei titoli e delle assicurazioni, l’inefficacia del sistema di segnalazioni.
Sono quindi necessari interventi sia di tipo normativo che organizzativo o di coordinamento, oltre che una mag­giore diffusione delle informazioni.
In tal senso è utile prevedere un coordinamento di tutte le istituzioni coinvolte nella lotta al riciclaggio e un più efficiente sistema delle segnalazioni sospette, in particolare:

  • intervenendo sul versante sanzionatorio e promuovendo un maggiore coinvolgimento degli ordini professionali;
  • snellendo gli adempimenti procedurali a carico della UIF (Unità di informazione finanziaria);
  • rafforzando la circolazione di informazioni rilevanti (con l’ampliamento del novero delle fonti informative a disposizione della UIF ed il rafforzamento dello scambio di informazioni e della collaborazione con Guardia di finanza, DIA e autorità giudiziaria);
  • potenziando il controllo sul rispetto della normativa antiriciclaggio da parte dei professionisti e degli operatori non finanziari.

È altresì auspicabile che il quadro delle misure proposte sia completato dalla previsione di adeguati incentivi a un maggiore impiego di strumenti di pagamento alternativi al contante.

6. Le misure volte ad incidere sui legami tra mafie e sistema istituzionale

Un terzo ambito di intervento attiene alle contiguità tra la criminalità mafiosa ed il sistema istituzionale.

6.1. Lo scioglimento degli enti territoriali

Quanto alla disciplina dello scioglimento, la Commissione propone di ampliare il novero dei soggetti nei cui confronti possano essere effettuati i controlli sulle infiltrazioni mafiose, includendo le società partecipate o i consorzi pubblici anche a partecipazione privata.

Quanto alla fase che segue lo scioglimento si propone:

  • l’istituzione di un Albo di funzionari con specifica competenza in materia di gestione amministrativa degli enti locali, dal quale attingere per la formazione delle commissioni straordinarie;
  • lo svolgimento delle funzioni commissariali da parte di personale all’uopo adibito a tempo pieno;
  • la previsione di misure volte a favorire lo svolgimento di procedure concorsuali per il reclutamento del personale dell’ente locale durante il periodo di commissariamento, sì da garantire l’inserimento di nuovo personale ammini­strativo nel lasso temporale nel quale l’ente è sottratto ai condizionamenti criminali;
  • l’espressa previsione della possibilità di licenziamento o di trasferimento del personale collegato o condizionato dalla criminalità.

Per la fase successiva alla gestione commissariale, la Commissione suggerisce:

  • l’ introduzione dell’obbligo per gli enti locali sciolti di utilizzare per un congruo periodo la Stazione unica appaltante, al fine di garantire una maggiore trasparenza nell’affidamento delle commesse pubbliche,
  • l’estensione del periodo di incandidabilità, prevedendo che la stessa duri, in conformità alla recente Legge Severino, per due tornate elettorali successive e per non meno di 6 anni.

6.2. La riscrittura dell’art. 416-ter c.p.

Con l’intento di incidere sui legami tra criminalità e politica si propone, inoltre, di rivedere la fattispecie penale contemplata dall’art. 416-ter c.p.,in particolare laddove circoscrive la condotta del politico alla sola erogazione di denaro, a fronte della promessa di voti proveniente dall’associazione di stampo mafioso. La vigente disposizione impedisce, invero, di attribuire rilevanza penale a forme di scambio diverse e verosimilmente più diffuse, come si verifica nei casi in cui l’appoggio elettorale promesso dall’organizzazione criminale sia ricambiato con altro genere di utilità o vantaggio, in specie mediante l’uso distorto del pubblico potere.
All’estensione dell’oggetto materiale dello scambio (da non limitare, quindi, alla sola erogazione di denaro), la Commissione ritiene debba affiancarsi una modifica del trattamento sanzionatorio, che tenga conto dell’esigenza di differenziare, anche sul versante delle pene, oltre che su quello strutturale, la fattispecie dello scambio rispetto a quella del concorso esterno: esigenza di differenziazione cui attendere, peraltro, tenendo conto di quanto la Commissione propone in tema di trattamento sanzionatorio della fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p. (cfr. successivo par. 7.1).

7. Il rafforzamento del sistema di repressione personale

Come osservato in apertura, anche il sistema della repressione personale va rafforzato.

7.1. Le pene

In prima battuta, è opportuno intervenire sulle pene previste per il reato di associazione mafiosa (reclusione da sette a dodici anni per chi partecipa all’associazione, da nove a quattordici anni per coloro che la promuovono, dirigono o organizzano), prevedendone un inasprimento, tanto più in considerazione dell’entità delle pene previste dall’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (reclusione non inferiore a dieci anniper chi partecipa all’associazione, non inferiore a venti anni per chi la promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia).

7.2. Il regime detentivo speciale

Merita, inoltre, una messa a punto la disciplina del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bisdell’ordinamento penitenziario.
I dati sulla presenza nelle carceri dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis (700 detenuti ristretti in dodici diversi istituti penitenziari) suggerisce un intervento di tipo strutturale, affinché il regime speciale possa assolvere efficacemente la sua funzione preventiva, assicurando l’isolamento dei detenuti stessi dall’ambiente esterno.
Si ritiene sul punto necessario destinare istituti penitenziari esclusivamente dedicati o, comunque, sezioni di istituti penitenziari loro riservate, con assegnazione di personale particolarmente qualificato e competente.
Appare utile, in particolare, individuare un numero limitato di carceri dove possano essere detenuti i soggetti sot­toposti all’istituto di cui all’art. 41-bis, così da garantire uniformità e identità di trattamento tra i detenuti stessi. Il numero limitato di istituti penitenziari nei quali applicare il regime detentivo speciale consentirebbe di assegnarvi un direttore specializzato nella materia, meglio in grado di rendere effettivo l’obiettivo di isolare il detenuto dal mondo esterno, così evitando che lo stesso possa in qualche modo conservare legami con l’organizzazione criminale di appartenenza.

7.3. I collaboratori di giustizia

Una messa a punto merita anche la disciplina della gestione dei collaboratori e testimoni di giustizia e dei loro familiari.
Significativi alcuni dati: al 31 luglio 2013 erano inseriti nel circuito tutorio 1.124 collaboratori di giustizia, a cui si aggiungono 4.179 familiari e 83 testimoni di giustizia con 268 familiari.
Come riferito dal Capo della polizia, nel 2012 sono stati 6.578 gli accompagnamenti per i collaboratori, di cui 2.466 per video conferenze, e 264 gli accompagnamenti per i testimoni, di cui 14 per videoconferenze.
Evidenti le criticità correlate alla partecipazione al dibattimento dei collaboratori e testimoni di giustizia. Difatti, per le dimensioni quantitative riferite, la suddetta partecipazione determina un rilevante impegno di spesa, peraltro esponendo i collaboratori e i testimoni di giustizia al rischio di azioni violente o comunque intimidatorie.
La Commissione propone, pertanto, che sia reso obbligatorio, salve eccezionali e motivate esigenze processuali, il sistema di video-con­ferenza anche nell’ipotesi in cui i soggetti sottoposti al programma di protezione rivestano essi stessi la qualità di imputati (almeno nell’ipotesi di procedimento penale per taluno dei delitti indicati nell’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. e per i delitti di terrorismo ed eversione di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4, c.p.p.).
Criticità sono dovute, inoltre, alla rigida previsione di un termine massimo entro il quale concludere la procedura di assunzione delle dichiarazioni rilevanti da parte del collaboratore (centottanta giorni dall’inizio della collabo­razione) con la redazione di un verbale illustrativo. Le dichiarazioni rese successivamente sono processualmente inutilizzabili (salvo i correttivi introdotti dalla giurisprudenza). Al riguardo, la Commissione reputa opportuno prevedere un meccani­smo (ancorché eccezionale e sottoposto al controllo del giudice) di possibile proroga del termine entro cui le dichiarazioni devono essere rese, con contestuale rafforzamento della sanzione processuale dell’inutilizzabilità per le dichiarazioni rese oltre il termine, ferme le deroghe correlate all’accertamento che la dichiarazione sia stata resa per effetto di uno stato di necessità o di un grave e giustificato motivo.

8. Degrado urbano e criminalità

Come osservato nel delineare le linee guida di una moderna ed efficace politica antimafia, occorre intervenire, in una logica lungimirante di prevenzione, anche sui fattori che innescano il circolo vizioso della criminalità.
L’idea che esista un nesso di causa-effetto tra il degrado urbano e lo sviluppo di attività criminali risale agli anni ’30 del secolo scorso, quando fu realizzato un innovativo progetto sociale di prevenzione del crimine, noto come Chicago Area Proiect: 
Come già evidenziato, degrado urbano, scarsa o assente scolarizzazione, mancanza di lavoro, ambienti familiari disgregati o particolarmente difficili da gestire sono largamente diffusi in grandi realtà urbane dell’Italia.
È indispensabile dunque un intervento dello Stato mirato, proficuo, di medio termine.
Creare le condizioni perché la criminalità – e in particolare quella mafiosa – possa essere efficacemente contra­stata, significa offrire alternative percepite come percorribili e vantaggiose ai cittadini e alle imprese esposti alla criminalità.
Il tentativo è quello di prendere spunto da alcune esperienze straniere, con un’applicazione analoga nelle aree di degra­do urbano italiane, partendo in via sperimentale da una o alcune di queste.
Ciò significa agire, sulla base di appositi piani da finanziare anche con la nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020, su quattro fronti: urbano, educativo, occupazionale e familiare, attivando un progetto di effettiva riqua­lificazione delle zone degradate.
Si tratta di operazione la cui elaborazione e concreta attuazione, peraltro, non può essere affidata alla sola respon­sabilità delle istituzioni territoriali: è necessario, viceversa, che ci sia una convinta assunzione di responsabilità del Governo nella sua interezza.

9. Conclusioni

La Commissione, nella consapevolezza della peculiare problematicità della materia e dei diversi profili involti, oltre che della molteplicità delle posizioni (non di rado differenti se non contrastanti) già espresse sugli aspetti esaminati, ritiene di fornire – con le analisi e le proposte contenute nel Rapporto – un contributo al dibattito istituzionale e alle valutazioni delle competenti Autorità di Governo.



(1) United Nations Office on Drugs and Crime – UNODC, The globalization of crime. A transnational organized crime threat assessment, 2010.


(2) Una definizione di criminalità organizzata, diversamente dal nostro ordinamento, è contenuta in un importante strumento internazio­nale: la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale del 2000, detta anche Convenzione TOC o “di Pa­lermo”. Anche la Decisione quadro 2008/8411 GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata (che riproduce i contenuti dell’Azione comune del 21 dicembre 1998 sull’incriminazione della partecipazione al gruppo criminale), richia­ma una nozione di gruppo criminale organizzato ormai condivisa tra gli Stati membri dell’Unione europea. La caratteristica del crimine organizzato, come descritto a livello internazionale, è rappresentata dall’individuazione del fine di profitto, quale elemento qualificante del gruppo criminale e differenziale rispetto al diverso fenomeno del terrorismo. Ripercorrendo i negoziati ed i lavori di elaborazione degli strumenti giuridici appena menzionati, risulta peraltro evidente che sia le Nazioni Unite che l’Unione europea hanno avuto a riferimento proprio la fenomenologia delittuosa riconducibile alla criminalità di stampo mafioso. Va del resto sottolineato che il 6 e 7 giugno 2013 il Consiglio Giustizia ed Affari interni dell’Unione europea ha deliberato di porre l’attenzione sulle organizzazioni criminali mafiose tra le priorità del prossimo ciclo di politiche contro la criminalità organizzata transfrontaliera del 2014-2017. Di recente, il Parlamento euro­peo ha anche approvato la Relazione proposta dalla Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione ed il riciclaggio di denaro, che pone, tra gli altri, quale obiettivo l’elaborazione di una nozione di criminalità organizzata armonizzata a livello europeo, che dovrebbe non solo includere il reato di partecipazione ad un’organizzazione criminale transnazionale, ma anche tenere conto che “i gruppi criminali di questo tipo hanno una vocazione imprenditoriale, sono altamente organizzati, dispongono di tecnologie sofisticate e spesso ricorrono all’intimidazione e al ricatto” (Risoluzione del Parlamento europeo del 23 ottobre 2013 sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro: raccomandazioni in merito ad azioni e iniziative da intraprendere (relazione finale) (doc. 2013/2107(INI)).


(3) Il dato è stato fornito dal Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti nel corso dell’audizione del 18 settembre 2013.


(4) È quanto ha riferito il Procuratore nazionale antimafia Roberti nel corso dell’audizione.

 

Allegati